La gratitudine può salvare questo mondo

di Antonio Errico


Pier Leone Ghezzi, La Gratitudine, 1706, olio su tela, cm. 46 x 67 – Accademia di san Luca, Roma.

In una intervista al “ Messaggero”, la scrittrice francese Delphine De Vigan ha detto così: “Penso che tutti proviamo gratitudine. E’ una sensazione molto forte, molto potente. Esprimere gratitudine significa ammettere che hai bisogno degli altri. Ma non è così facile dire grazie. Non credo che si tratti di ego e orgoglio. Direi piuttosto una questione di modestia. Abbiamo paura di essere troppo solenni, troppo emotivi o troppo goffi. E soprattutto spesso pensiamo di avere tutto il tempo, che troveremo la giusta opportunità, ma a volte le persone scompaiono prima che possiamo ringraziarle”.

Sarà per i motivi sintetizzati da Delphine De Vigan, sarà per motivi diversi da quelli, ma a volte si ha l’impressione che ormai la parola grazie esista soltanto nei dizionari. Si ha l’impressione che non la pronunci più nessuno, o che si pronunci tanto raramente che non si fa neppure caso. Uomini, donne, bambini, giovani, adulti, vecchi: non la pronuncia più nessuno o la pronunciano con una rarità tale da suscitare un senso di stupore. Perché nessuno se l’aspetta, nessuno la mette in conto. Di conseguenza viene da pensare, da sospettare, che se abbiamo abbandonato la parola, prima della parola abbiamo abbandonato il concetto, il senso, il sentimento della gratitudine.

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