La parola e il tempo: per Laura Barone

La parola scritta di Laura, ora, mi parla del tempo, di quarant’anni (e potrebbero essere mille) trascorsi da una donna, della quale non saprei dire nulla, se non mi affidassi alla sua scrittura. La scrittura poetica come unico referto per me visibile, oggi, di una donna matura. Quarant’anni sono paragonabili al battito di un ciglio, eppure ogni uomo sa quanto rovinosamente essi passino. Vivere è sentire, sentire è patire, patire significa sottostare alla dura legge del tempo. La poesia di Laura racconta questa esperienza, che la accomuna a tutti gli uomini e alle donne del mondo. La poesia non dice mai l’esemplarità di un vissuto, ma la comunanza della sorte umana. Il nostro vivere in comunione con gli altri, il nostro soffrire insieme agli altri, amare, sperare, sognare, parole molto ricorrenti nel tessuto linguistico della poesia di Laura. Non c’è pessimismo nelle sue parole né alcun facile ottimismo e neppure un inerte abbandono alla vita. C’è invece una sorta di partecipazione dolente e speranzosa ai casi  dell’esistenza, la voglia sempre di farne parola agli altri, nel tentativo di determinare anche negli altri questa partecipazione. E’ troppo facile vivere il proprio dolore nell’egoismo e nella solitudine. Il difficile è fare del nostro esser soli, inevitabilmente soli, esseri umani senzienti e, dunque, esposti al dolore, un motivo di rapporto con gli altri, la causa principale della nostra relazione col mondo, un’autentica ragione di vita.

Questo è il senso dell’attaccamento alla vita raccontato ne Il canto dell’edera. Citerò i primi cinque versi della la poesia che dà il titolo alla raccolta:

Di sole in sole

di luna in luna

l’edera si stringe al melograno

e come Proserpina canta triste la stagione

sognando luce che verrà.

La pianta del melograno è legata a divinità femminili che simboleggiano la fecondità e la vita, ma insieme anche la morte e il regno di Ade. Il mito greco racconta che Proserpina, liberata da Ade per volere di Zeus, mangiò il frutto del melograno e fu condannata a trascorrere nel mondo sotterraneo un terzo dell’anno. Da allora ella, come scrive Laura, sogna “luce che verrà”. Laura si identifica fortemente in questo personaggio mitologico, tanto da dedicargli anche la copertina del suo libro (Properpina di Dante Gabriel Rossetti, 1878). Primavera tornerà, ma intanto il mondo di Laura trova espressione nel canto, che è canto del desiderio di vivere e di giorni migliori, da trascorrere insieme agli altri, scambiandosi la parola.

Per questo, sebbene mi sia giunta per iscritto – come un tempo giungevano sul balcone di casa parole fanciullesche su di un aeroplano di carta -, la poesia di Laura penso che vada letta preferibilmente ad alta voce, insieme, in una compagnia di amici, cioè non come la parola scritta richiederebbe, nel chiuso della propria stanza, in silenzio, ma con gli altri, magari recitata dalla voce dell’autrice, con la sua leggera inflessione meneghina, in grado di colmare la distanza con la ragazzina di  quarant’anni fa affacciata al balcone. La parola scritta, ridivenuta pura voce, sarebbe per chi ascolta la prova che la poesia ancora una volta ha assolto il suo compito, annullare il tempo e del ricordo fare un eterno presente.

[La parola e il tempo: per Laura Barone (recensione a Laura Barone, Il canto dell’edera,  ilmiolibro.it, 2011), “Il Galatino di venerdì 29 aprile 2011, p. 3. ]

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