Di mestiere faccio il linguista 17. Breviario della gentilezza

Sono strategicamente mirati anche alcuni usi del congiuntivo, dell’imperfetto e del futuro. La sollecitazione «“prenda” una fetta di torta, è davvero buonissima» non è percepita come ordine o imposizione e quindi favorisce l’instaurarsi (o il perpetuarsi) di una relazione fondata sulla disponibilità.  L’imperfetto usato per codificare un desiderio o una richiesta ha valore attenuativo o di cortesia: «“volevo” un’informazione»; «“volevo” sapere quali modelli di stampante avete in negozio» (sarebbe perentorio “voglio”).  In altri casi l’imperfetto risponde all’esigenza di minimizzare l’urgenza della richiesta; «ascolta, “volevo” dirti una cosa importante» (metterebbe in allarme “voglio”). Esprime asimmetria nel ruolo sociale una domanda come «“desiderava” qualcosa?» (in luogo di “desidera”) che per urbanità formula un commesso all’indirizzo di un  cliente entrato in negozio e girovagante a caso. Ricorrere al futuro in luogo del presente («ti dirò, non ti nasconderò…») serve a dislocare in una dimensione più lontana e non ancora realizzata un evento attuale o incombente, come a frapporre una distanza fra enunciazione di un fatto e accadimento effettivo, attenuando l’impatto di una realtà che potrebbe essere spiacevole o anche inattesa e sorprendente.

Capita spesso di interrogarsi sull’uso nell’italiano contemporaneo dei pronomi allocutivi reverenziali o di cortesia, Ella o Lei o Voi. Confinato in contesti formali Ella, in regresso il Voi (per quanto vitale ancora nelle regioni del Sud, Napoli in testa), resta in piedi Lei, in concorrenza con Tu nelle interazioni  quotidiane. L’alternanza Tu ~ Lei si configura oggi in forme molto diverse rispetto al passato, anche recente: dare del Tu a sconosciuti non implica scortesia, anzi diventa quasi normale fino a una certa età.  A un cliente o una cliente sconosciuti, di  trenta o quarant’anni, che entra in negozio, il commesso o la commessa (della stessa età, o anche più giovane) cominciano a dare del Tu, senza intenzione di essere scortesi. Il Lei si riserva a clienti di età più avanzata, possibilmente con una borsa firmata (se donne) o in giacca e cravatta (se uomini).  

Perché le persone sotto i cinquant’anni usano spesso il tu? Nella posta del cuore dei giornali si incontrano espressioni come “ho incontrato un ragazzo di quarant’anni”. I cinquantenni prevedono molti decenni di piena attività davanti a sé. Non è solo un’autovalutazione. I gerontologi affermano che la vecchiaia inizia a settantacinque anni e non sono poche le persone ultranovantenni di energia fisica e intellettuale straordinaria. L’asticella dell’età, nel giro di mezzo secolo, si è enormemente alzata. Pertanto si espande l’uso del Tu tra cinquantenni coetanei, anche se non ci si conosce. Senza violare la grammatica e le regole della cortesia. In un intervento per il Festival della Comunicazione di Camogli, Umberto Eco sostenne che l’ascesa irrefrenabile del Tu generalizzato si lega alla perdita generazionale di ogni memoria storica. «Una volta ci interessavamo molto al passato perché le notizie sul presente non erano molte, se si pensa che un quotidiano raccontava tutto in otto pagine. Con i mezzi di massa si è diffusa un’immensa informazione sul presente, e si pensi che su Internet posso avere notizie su milioni di cose che stanno accadendo in questo momento (anche le più irrilevanti)». Ciò è probabilmente vero. Ma è anche vero che, cambiando le condizioni storiche e le sensibilità collettive, mutano le forme della oscillazione cortesia~scortesia. In certe occasioni il Tu è quasi normale, anche se non esiste familiarità tra gli interlocutori.

Il modo forse più esplicito di instaurare positività nei rapporti interpersonali, superando le barriere mentali, sociali, culturali e gerarchiche esistenti tra gli individui, è rappresentato dai complimenti, che rappresentano il modo con cui il parlante o lo scrivente soddisfa il bisogno altrui di essere apprezzato e ammirato. Variano frequenza, circostanze e norme che regolano lo scambio dei complimenti. Varia l’oggetto: bellezza, abilità, bravura, intelligenza, personalità, beni materiali, ecc. E variano le modalità di reagire ai complimenti, a volte semplicemente con un sorriso o con un gesto, a volte con le parole. Ecco alcuni esempi (reali, non inventati) di dialogo, botta (A) e risposta (B), che vertono su complimenti. A: «lei è una cuoca bravissima», B: «grazie»; A: «hai i capelli diversi, oggi», B: «me li ha fatti il parrucchiere»; A: «mi siedo accanto a te, così sono in buona compagnia», B: «certo, con piacere»; A: «lei ha due figli grandi, credevo fosse appena sposata», B: «grazie. Che bella giornata oggi». Come si vede l’accettazione del complimento di solito chiude la sequenza dello scambio. In qualche caso tuttavia chi riceve il complimento reagisce con una presa di distanza, spesso dovuta a una forma di modestia che più che effettiva: A: «sei sempre elegante», B: «ma no, sono uno straccio»;  A: «davvero una ragazza carina come te è single, non ci posso credere! », B: «finiscila, per favore». Il rifiuto effettivo è raro. Si verifica se il complimento viene interpretato come una presa in giro o come una forma intollerabile di pressione, quasi sempre  a contenuto sessuale: A: «ma che bel taglio di capelli ti ha fatto il parrucchiere, sembri proprio un attore di Beautiful!», B: «stai zitto, vai a quel paese!»; A: «sei una bomba sexy, non riesco a toglierti gli occhi di dosso», B: «ma come ti permetti!».

Classificare un complimento è un’operazione complessa, che deve tener conto della modalità espressiva adottata, della risposta del destinatario, della situazione. Distinguendo il complimento sincero dall’adulazione, subdola e infestante (io stesso, a volte, non ho saputo riconoscere né respingere l’adulatore infido). Nei complimenti, come in uno specchio della vita, si riflette quello che in una comunità è apprezzato, valutato, discusso, rifiutato. Tutto questo si legge in un bel libro di Giovanna Alfonzetti, «I Complimenti nella conversazione», Editori Riuniti.  

                                              [“Nuovo Quotidiano di Puglia” del 4 ottobre 2020]

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