Lo Zibaldone salentino di Gianluca Virgilio

di Augusto Benemeglio

E’ un fine settembre pieno di pioggia quello che mi riconduce alla lettura del prezioso dono di un amico, “Zibaldone Salentino” di Gianluca Virgilio (Edit Santoro, 2020), un Virgilio da “Bucoliche”, un istant book, un’opera mondo su visioni d’amore, sulle passioni e il tempo che fa (“Le passioni,  strumenti che il tempo utilizza per affaticare e consumare i nostri corpi. pag. 86), il  senso dell’antico (“il pulviscolo invisibile, una vera e propria nave lunga cinquanta metri, con lu nachiru, la ciurma dei trappitari unti d’olio e gli asini ciechi a spingere intorno le grosse mole di  pietra- pagg. 89 e 94), e il ruolo della scrittura diaristica, con una citazione di Sterne: “Il diario insegue la vita senza mai raggiungerla” pag. 84). Non mancano  neppure il senso cosmologico della storia  e i limiti della morale.

Il libro reca, in esergo,  un lungo brano dell’Idiota di Dostoevskij (ricordate?,  “La bellezza salverà il mondo”) che finisce così: “Non so se ho imparato a guardare. Del resto, io per quasi tutto il tempo sono stato molto felice”. Sono parole del principe (l’idiota) che ci lasciano un filo di bava, una scia di ambiguità. Che ci vuole dire l’autore?  Che anche lui non sa se ha imparato a guardare, però è stato felice nel tempo che descriveva ciò che vedeva? Non lo sappiamo. A me sembra che, inconsciamente,  (non dimentichiamo che il prof. Virgilio è talmente intessuto di letteratura, – materia che insegna da più di trent’anni, – che ha forse più inchiostro che sangue nelle vene, e nella sua mente scorrono continuamente ruscelli di parole),  abbia voluto rendere omaggio al grande poeta latino mantovano di cui porta il nome, ma non necessariamente alle “Bucoliche”. L’omaggio invece è esplicito nei confronti di Giacomo Leopardi, (pag 142) che scrisse uno “Zibaldone” di pensieri che non finisce e non finirà mai di stupire. E poi c’è,  il Salento, naturalmente, terra amata da entrambi, che è il tessuto connettivo del libro. Ho ritrovato e rivissuto molti posti delle fragole leggendo le sue descrizioni, “il demone garbato della sua descrizione”, splendido ossimoro coniato dal prefatore, Antonio Prete. E allora ecco Rivabella, Lido Conchiglie, Santa Maria al Bagno, col suo “marciapiede vestito di Arlecchino” (pag. 77), e poi Santa Caterina  e le torri costiere, – “percorrendo la litoranea semideserta, tra migliaia di case vuote, anime disabitate” (pag.40) . Siamo andati a spasso, Gianluca ed io, coi nostri pensieri lievi, alla ricerca dell’unità dell’anima, che forse sta al centro del centro. Serve la scrittura? Non lo so. Scrivo quando mi è dato di scrivere, quanto la vita mi forza a scrivere. Ora ci troviamo nella campagna salentina, percorrendo i muretti a secco e gli antichi ulivi che filano l’argento. Ma le piante hanno un’anima, Gianluca?   ”Ne sono certo. Ho la sensazione di essere atteso da loro”. Si va in campagna a coltivare l’orto, col piacere – e anche con l’urgenza – di chi sa di essere atteso. (pag. 43)

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