Sto davanti alla tua caverna di V i t t o r i o B o d i n i

di Viator


Giorgione, 1506-1508, olio su tela, 123,5×144,5 cm, Kunsthistorisches Museum, Vienna.

Sto davanti alla tua caverna.

Esci fuori e arrenditi.

Noi abbiamo la sintassi e la radio,

i giornali e il telegrafo,

e tu non vivi che del mio sonno,

non hai che la roccia a cui ti tieni abbrancato,

e per farmi dispetto

non mi rispondi nemmeno.

E’ una delle poesie più brevi e polemiche di Vittorio Bodini (1914-1970) nei confronti dei suoi conterranei, certo non tra le più belle. Tradisce quasi un’esigenza di farla corta e netta, di chiudere una questione che si protrae da tempi immemorabili. E’ l’arretratezza della sua regione, che peraltro gli sarebbe sopravvissuta, benché in condizioni decisamente mutate, se ancora oggi si parla di un grande Salento, che tarda a decollare. Compresa nella raccolta “Dopo la luna” (1952-55), risente di certi furori giovanili, di quando, giovane collaboratore di “Vecchio e Nuovo”, agli inizi degli anni Trenta, si scaglia contro l’immobilismo meridionale, contro la sua gente che ama e odia allo stesso tempo. Il linguaggio è tagliente, forte, in linea col suo futurismo. Il suo è un sofferto mettersi di fronte: “Sto davanti alla tua caverna”, quasi a marcare un tu ed io, uno stabilire differenze abissali fra chi ha “la sintassi e la radio, / i giornali e il telegrafo” e chi non vive che del sonno di chi invece dovrebbe assumere il comando, la guida. Velato il riferimento a quegli intellettuali che col loro “sonno”, col loro essere attaccati a posizioni di rendita, si guardano bene dall’operare per la crescita della comune terra di appartenenza. “Tu non vivi che del mio sonno”. Perentorio quel suo “Esci fuori e arrenditi”, che non ha niente di iattante e prevaricante intellettualità, ma un invito a riconoscere la necessità di affidarsi a chi mostra altre prospettive, a chi sa altre cose, a chi ha altre idee. Il confronto è chiaro: da una parte la mobilità, la duttilità, l’intelligenza, il futuro; dall’altra la rigidità, l’immobilità, la fossilizzazione, il passato. L’uso di termini come “caverna” e “roccia” sono funzionali a rendere il senso di un confronto duro, quasi improponibile. Il rammarico del poeta è l’incomprensione, perché egli non intende una vittoria di una parte sull’altra, ma una vittoria conseguita insieme dalle due parti unite nella comune causa. Bodini vuole creare una coscienza nuova nei salentini, che è l’intento di ogni intellettuale-guida; è la rivendicazione di leadership. La sua vittoria è la vittoria della sua gente, la sconfitta della sua gente è la sua stessa sconfitta. E questo gli brucia. Nella poesia esprime uno stato di scoraggiamento e un senso di frustrazione. Mentre il poeta soffre per la condizione di arretratezza del suo Salento. Questo, “abbrancato alla roccia”, cioè fermo, “per far[gli] un dispetto / non [gli] rispond[e] nemmeno”.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVIII n. 11-12 / Nov.-Dic. 2020, p. 7]

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