I nonni raccontano ai nipoti

Piccinno e Seclì dunque sono avvezzi allo scavo erudito declinato in una forma divulgativa e adatta ad un pubblico eterogeneo. A maggior ragione, onorevole risulta il loro obbiettivo di riproporre al meglio la nostra cultura di appartenenza, svincolandola da rigidi codici e dai dettami richiesti da una catalogazione di carattere scientifico, rendendola vieppiù materia viva, ancora pulsante, nella società razionalista e supertecnologica del nuovo millennio, in cui si fa sempre più debole la nostra disposizione mentale alle fiabe e alle leggende d’altri tempi, alle superstizioni, ai riti, agli usi e costumi dei nostri avi, insomma, a tutto quel “di più” di fantasia  e meraviglia che questo libriccino contribuisce a ridestare. Per altri versi, esso si colloca in un nobile filone letterario che trova i suoi illustri antecedenti nelle opere di Giuseppe Gigli, di Saverio La Sorsa, del Castromediano, del De Simone, di Giuseppe Gabrieli, fino ad arrivare a Rossella Barletta e Federico Capone in tempi a noi più vicini.

Per una migliore comprensione del testo, il libro è diviso in facili e brevi schede.

Nella sezione dei mestieri troviamo, allora, lu ramaru, lu ferraciucci, lu uttaru, lu zuccaru, ecc. Questa sezione si pone in ideale continuità con due volumetti della recente pubblicistica parabitana: mi riferisco a Artigiani e artigianato nella Parabita di una volta e La vecchia società-Usi e costumi a Parabita dal 1930 al 1950, entrambi di Gaetano Leopizzi, editi dal Laboratorio di Aldo D’Antico. E poi si passa alla sezione delle ricette di una volta. E allora, chi vuole Cartallate e purciaddhuzzi? E passule? E paparina e pasta cu la ricotta? Magari sagne ‘ncannulate e fiche cu le mendule? Nella sezione dei miti vengono riportate alla luce figure come la macara, ovvero la strega, o lu strazzuddhu, cioè il diavoletto dei bambini, sopravvivenze magiche e ancestrali di una società preindustriale in cui la mancanza degli odierni mezzi di comunicazione e intrattenimento di massa portava i nostri avi ad aguzzare l’ingegno e la fantasia, nelle fredde serate d’inverno trascorse davanti al camino per ritemprarsi dai rigori della giornata, oppure nelle calde serate estive passate sull’aia. Ecco allora, lu moniceddhu o scazzamurriedhu, uno spiritello cattivo, rappresentato come un folletto, in genere scalzo, smanioso di possedere un paio di scarpette, quindi riconoscente nei confronti di coloro che gliele donano, ai quali regala un gruzzolo di monete sonanti o indica il luogo dove si trova nascosto un tesoro, l’acchiatura, ma che al contrario può essere dispettoso e molto cattivo con gli abitanti della casa, nella quale si intrufola dal camino svegliando i famigliari e combinandone di tutti i colori. Ecco allora, la Caremma, la lugubre madre del Carnevale, che simboleggia il periodo di digiuno e penitenza della Quaresima; ed ecco suo figlio, lu Titoru, immortale maschera del carnevale gallipolino. Ecco trascorrere in rapida sequenza, lu nanniorcu, che abita sottoterra, lasciando fuori, a mo’ di cavolfiore, un enorme orecchio, e quando le fanciulle, della cui tenera carne egli è ghiotto, andando in campagna per raccogliere la verdura e vedendo questo bel cavolfiore, cominciano a tirare, egli esce da sottoterra e se le mangia. O ancora lu Mamau, ovvero l’uomo nero (chi non conosce la famosa ninna nanna nella quale la mamma si chiede un po’ sadicamente se dare il proprio bimbo all’uomo o orco nero?) o la culozza te morte.

Ma forse la sezione più interessante del libro è quella delle tradizioni religiose, più precipue all’area culturale trattata. Qui si esprime, maggiormente vibrante e densa di significati, l’anima del popolo parabitano, soprattutto nel culto per la sua amata patrona, la Madonna della Coltura, alla quale sono legate le usanze delle Cutureddhe, dei Balloni, dei Curraturi; ma del pari interessantissime sono le tradizioni della Cuddura, delle Centu Cruci, de lu Santu Lazzaru, della Cuccagna. Mi preme sottolineare a questo punto la nobile finalità che si prefigge il Centro di Solidarietà “Madonna della Coltura”, che patrocina la pubblicazione, cioè l’assistenza alle persone anziane ed ai diversamente abili: obbiettivo, questo, non sempre consentaneo a siffatto genere di operazioni editoriali, alle quali peraltro il Centro di Solidarietà non è estraneo (voglio ricordare, su tutte, a suo patrocinio, Noi, gli altri, un paese. Volontariato e solidarietà a Parabita, di Aldo de Bernart, Aldo D’Antico, Antonio Camisa e Fiorentino Seclì, Il Laboratorio 2008). Un buon viatico, per questa piccola pubblicazione di Piccinno-Seclì, che oltre all’intrinseco valore documentale, offre ai contemporanei, sempre presi dal contingente e poco o punto disposti all’ascolto, la rara occasione di fare comunità, di ritrovarsi tutti insieme intorno ad un nucleo di valori condivisi prima che questi vengano dispersi fatalmente. Non sprechiamola.

[Prefazione di Paolo Vincenti in Nonni e nipoti si incontrano per raccontare e ascoltare, di Anna Piccinno-Ortensio Seclì, Centro di Solidarietà “Madonna della Coltura”, Parabita, Il Laboratorio editore, 2019]

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