Bestiario salentino di V i t t o r i o B o d i n i

di Viator


Giuseppe Diso: Campi, Olio su tela 20×20, collezione privata.

La luce è un’altra bestia sulle case

da aggiungere al bestiario

la cui favola

sa di sputi e minacce,

il geco, la tarantola,

l’aggressiva cicala,

la civetta.

E quell’altra che non canta e non brucia

come la frusta del carrettiere

sotto la nuvola di caldo

ma grigiamente dice: se le cose

fossero andate diversamente.

Immondo insetto, così pieno di malinconia!

Dal futurismo degli anni giovanili all’ermetismo e infine al surrealismo Vittorio Bodini (1914-1970) fu sempre lo spirito inquieto, ribelle e battagliero, insofferente a qualsiasi catalogazione, che conosciamo. Rifuggiva le etichette, le sentiva come segni di fissità, lui che voleva cambiare l’esistente. Il rapporto con la sua realtà fu di eterno scontento e dunque di continua ricerca di qualcosa di liberatorio, di altro, per sé ma soprattutto per la sua terra, di cui si sentiva un po’ responsabile e impotente paladino del riscatto.

In questa poesia, compresa nella raccolta “La luna dei Borboni” del 1952, è facile vedere una specie di istantanea del Salento con tutti i suoi simboli, ad incominciare dalla “luce…sulle case”, “il geco, la tarantola, / l’aggressiva cicala, / la civetta”. È il “bestiario” che popola un mondo-favola che “sa di sputi e di minacce”. E’ il Salento mitico con tutte le sue immobilità che evocano una condanna di povertà e di disprezzo ma anche di sofferta corrispondenza. È “un’umanità minima, misera, acrona, ma graziata nella sua sapienza naturale e nei suoi mestieri quotidiani”, secondo le parole di Oreste Macrì, che del poeta-amico curò tutte le poesie per gli Oscar Mondadori nel 1983.

Il poeta insiste nel suo violento e contraddittorio rapporto con la sua terra. Soprattutto recrimina: “se le cose / fossero andate diversamente”. Come? La rivoluzione nazionale avrebbero dovuto farla i Borboni? Forse. Ma nella storia non ci sono controprove. I simboli di questa terra indulgono tutti nella visione bodiniana all’irrevocabilità di una situazione che non sembra dipesa dagli uomini e dalle circostanze: “la favola”. Chi conosce il Sud o è del Sud sa di quella luce che si stampa sulle case, sugli uomini e sulle cose per interminabili tempi. Le bestie come il geco, la tarantola, la cicala, la civetta sono ferme, costanti, pazienti nella loro posizione di un’attesa senza fine, categorie di stasi. L’evocazione della “frusta del carrettiere” che richiama lo sprone del poeta a muoversi, a cambiare “grigiamente” e inutilmente aggiunge “quell’altra bestia che non canta e non brucia”. Come a dire che nel Salento è perfino inutile l’impegno politico-culturale e che al poeta non resta che la pietas per l’ “Immondo insetto, così pieno di malinconia!”.

[“Presenza taurisanese” a. XXXIX n. 3 marzo 2021, p. 7]

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