Anche la finzione della letteratura può portare il pianeta in salvo

di Antonio Errico


Trent’anni di tempo. Giorno più, giorno meno. Ma per salvare il pianeta abbiamo trent’anni di tempo. Giorno più, giorno meno. Trent’anni di tempo e poi sarà finita. Se continueremo a trattarlo nel modo in cui lo maltrattiamo, fra trent’anni avremo completato la distruzione. Qualche tempo fa, in un’intervista  a “Repubblica”, Jared Diamond, biologo, geografo, antropologo, ornitologo, premio Pulitzer per la saggistica, sosteneva che la deforestazione, il cambiamento climatico, il dissesto dei territori,  sono delle vere e proprie bombe a orologeria. O le disinneschiamo oppure molto presto esploderanno.  E’ come se la corsa della specie umana si stia avvicinando al traguardo.  Abbiamo trent’anni di tempo, dunque,  e poi sarà finita. 

Il progresso e lo sviluppo sono cose diverse dalle  loro maschere e dalle loro apparenze, dai travestimenti, i trucchi, gli imbrogli, le menzogne, la vacua spettacolarità, la frivolezza, il paradosso, l’esasperazione spinta anche oltre i raggiri dell’artificio. A volte il progresso e lo sviluppo, che sono un dono che l’uomo fa all’uomo, vengono confusi con  icone artefatte e imprudenti idolatrie. A volte, in nome e per conto del progresso, si giustificano i paesaggi sventrati, le città asfissiate.  Allora le parole degli scienziati ritornano come severi ammonimenti, un’esortazione allarmata, quasi ultimi avvisi, forse anche come una sorta di involontaria implorazione, perché l’irreparabile sia evitato, perché si possa recuperare una coscienza del tempo e del proprio essere nel tempo e per il tempo. Perché probabilmente non c’è progresso senza l’attribuzione di un valore assoluto al legame tra il tempo dell’uomo e quello della terra. Abbiamo trent’anni  per salvare il pianeta.  Poi non ci potranno essere più esortazioni o rimproveri di scienziati o consigli di buon senso. Sarebbero assolutamente inutili. La sola condizione che potrebbe esserci sarebbe la nostalgia dei sopravvissuti e il loro racconto di com’era una volta. Ma anche questo è stato detto da un poeta che si chiama Francesco Guccini, con una canzone in cui la realtà del passato raccontata da un vecchio a un bambino sembra che sia il paesaggio inventato di una fiaba senza colori.

Mentre rileggevo l’intervista a  Jared Diamond, e ripensavo a “Il vecchio e il bambino” di Guccini, per una più o meno strana associazione mi veniva di pensare ad un libro di Carla Benedetti che si intitola     La letteratura ci salverà dall’estinzione”.

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