Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XXXII

di Gianluca Virgilio

Il nichilismo e la metamorfosi. Nell’intervista postuma che George Steiner ha rilasciato a Nuccio Ordine, Ho sempre inseguito la poesia. Ecco la mia intervista postuma, “Corriere della Sera del 4 febbraio 2020, pp. 34-35, leggo questo passaggio: alla domanda “Pensi che ci sia qualcosa dopo la morte?” Steiner risponde: “No… Sono convinto che non ci sarà niente. Però il momento del passaggio potrà essere molto interessante. Mi pare infantile la reazione di coloro che, dopo aver pensato sempre al nulla, nella fase finale della loro vita cambiano idea, immaginando un “mondo” ultraterreno. Credo che sia un fatto di dignità il non avere paura: non bisogna perdere il rispetto della ragione e le cose vanno chiamate chiaramente con il loro nome.”

Mi chiedo che cosa esattamente significhi l’affermazione secondo la quale, come dice Steiner, dopo la morte “non ci sarà niente”. A conti fatti, essa non dice assolutamente nulla. Del niente, infatti, niente si può predicare. Pertanto, sarebbe stato meglio ammettere che non si ha alcuna idea di che cosa ci sia dopo la morte.

Una posizione più ragionevole è invece quella di chi sostiene che dopo la morte noi ritorniamo in uno stato inorganico, pura materia priva di vita, come foglie morte ai piedi di un albero. Il nostro corpo animato e senziente cambia stato, diviene materia inanimata e insenziente. La vita è una molteplicità di mescolanze chimiche che danno origine a reazioni sempre diverse. Quando queste reazioni vengono meno, la vita si ritira dai corpi, e la materia inerte subisce un riciclo naturale, offrendosi a nuove mescolanze chimiche, a nuove reazioni, a nuova vita (noi diventiamo concime). Questo è il processo che va sotto il nome antico di metamorfosi. Solo l’incapacità di pensare fino in fondo questo pensiero è alla base del nichilismo (“non ci sarà niente”).

La metamorfosi è l’apparenza della vita in tutti i suoi aspetti: ciò che noi siamo, ovvero il modo in cui noi mutiamo, e ciò che noi vediamo intorno a noi, il mondo che muta. Tutto ciò che muta è vivo, eppure perché questo cambiamento avvenga è necessario che la materia passi attraverso lo stato che noi chiamiamo morte. La coscienza della morte, della nostra morte, ci impedisce di apprezzare, per quello che è, questo momento critico dell’esistenza, al quale cerchiamo di sfuggire con le credenze religiose più diverse, tutte tendenti a negare la morte. Il non credente si rifugia nella ragione, la quale non sa dire se non che dopo la morte “non ci sarà niente”: la ragione, di cui, come dice Steiner, “non bisogna perdere il rispetto”, conclude la sua parabola progressiva con una insensatezza. Ed invece, dopo la morte tutte le forme cangianti della vita continueranno ad esserci e noi, non più noi, in esse! Allora comprendo che alla frase “non ci sarà niente”, Steiner avrebbe dovuto aggiungere “di umano”: dopo la nostra morte, non sopravvivrà di noi niente di umano. L’umano è infatti solo una delle metamorfosi del vivente.

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