Quale ruolo per gli ultimi testimoni della nostra cultura d’origine?

Con l’avvento dell’agricoltura, che costringe ad ancorarsi ad un territorio, molte popolazioni sono diventate sedentarie. L’agricoltura ha portato alla recinzione delle terre edalla proprietà privata. Con il tempo quasi tutta la terra coltivabile è diventata proprietà privata ed è quindi apparso il lavoro salariato. I padroni delle terre hanno iniziato ad avvalersi di lavoratori dipendenti, ovvero di persone che non avevano terra. Questi per sopravvivere erano costretti a lavorare alle dipendenze di proprietari terrieri. Questo fenomeno ha creato le prime differenziazioni culturali ed i primi contrasti tra culture: tra la cultura nomade e quella agricola. I nomadi non possono sopravvivere in territori dove la terra è recintata, dove vi sono barriere artificiali invalicabili. Al contrario gli agricoltori non possono  sopravvivere se non proteggendo le terre che coltivavano. Possiamo anche dire che nasce un conflitto tra la libertà del nomade e la proprietà privata del sedentario. Questa storia noi la conosciamo bene perché è testimoniata anche nella Bibbia, il contrasto tra due fratelli: Caino e Abele. Uno è contadino e l’altro pratica la pastorizia. Caino rappresenta la vita agricola sedentaria e Abele la pastorizia, attività tipica dei nomadi o seminomadi. Come sappiamo fu Caino, il sedentario, ad uccidere Abele, il nomade. In effetti a vincere è stata l’agricoltura, questa permette di nutrire più persone, per unità di superfice di territorio utilizzata, rispetto all’economia nomade.

Con l’inizio dello scontro tra diversità culturali nascono i seguenti modi di relazionarsi con l’altro: “è sempre l’altro che sbaglia”, “l’altro deve fare quello che faccio io”, “l’altro deve pensare quello che penso io”.  Ma anche: “io sono normale è l’altro che è bizzarro, diverso”.

Noi oggi abitiamo ancora con popoli che vengono da questa storia, basti pensare ai beduini, ai tuareg, ma anche ai Rom. Questi ultimi (o una parte di loro) hanno abbandonato l’India, all’inizio del primo millennio, e sono stati quasi sempre in viaggio. Vengono chiamati in maniera differente nei tanti paesi dove hanno trovato rifugio. In Francia vengono chiamatimanouches (che significa uomo, ma anche colui che non è legato ad un luogo, colui che è libero). Si consideravano (e si considerano) uomini liberi in rapporto agli altri perché legati alla terra che abitano. Consideriamo anche che nel passato le condizioni di vita dei lavoratori il più delle volte erano terribili. I contadini, che erano la parte maggioritaria della popolazione, spesso erano soggetti ad uno stato molto vicino alla schiavitù. Nei tempi antichi chi vendeva la terra vendeva anche i contadini che l’abitavano. I Rom quindi, hanno avuto difficoltà a sedentarizzarsi, in parte perché non essendo ben visti non potevano integrarsi e quindi dedicarsi ad attività stabili, sedentarie, come l’agricoltura, ma anche perché probabilmente non volevano diventare schiavi. Quindi a ragione i Rom si percepivano liberi, almeno lo erano più dei contadini. Teniamo anche conto che non sempre il lavoro è stato considerato un’attività che “nobilita l’uomo”, spesso è stato uno strumento per soggiogare l’uomo, anche uno strumento di tortura (lavoro forzato). Lavoro infatti significa fatica, sforzo ma anche travaglio, tormento, pena, schiavitù, tortura. In siciliano “lavorare” si dice “travagghiari”, in spagnolo “trabajar”, in portoghese “trabalho”, in francese “travail”, sembra che questo termine derivi da latino tripaliare, tripalium, che era uno strumento di tortura composto da tre pali su cui veniva posto e torturato lo schiavo[1]. Anche il termine tedesco “arbeit” (lavoro) sembra derivare da servitù.

Testimonianze su cosa era il lavoro in Puglia ne abbiamo tante, vogliamo citarne una, quella di Tommaso Fiore ne “Il cafone all’inferno”. Ecco cosa accade a un cafone (manovale agricolo) che dopo la morte finisce in inferno:

Satana lo guardò (il cafone) da capo a piedi e poi disse: “ Vi piace questo luogo?” “Moltissimo, signore. Se sapevo che era così comodo sarei venuto più presto”. “Di dove sei?”, “Della Puglia, signore. Di nascita sono di un paese a confine con la Basilicata, ma come vita l’ho passata a lavorare nelle masserie del Tavoliere”. “E dove si trova il paese che hai tanto disprezzato?” “Nel Tavoliere delle Puglie, signore. Io sono analfabeta, non capisco né geografia né punti cardinali”. “Tu, Belzebù, va con costui a vedere questo Tavoliere”. “Signore, comandatemi dove volete; ma lì non ci voglio più ritornare”[2].

Tomaso Fiore quindi, ci racconta che le condizioni di lavoro nel Tavoliere delle Puglie erano tali che era preferibile vivere in inferno. Teniamo conto che il suo testo è stato pubblicato nel 1955 e non nel Medioevo.

Nella stessa Bibbia il lavoro è rappresentato come una maledizione causata dal peccato commesso da Adamo ed Eva, quello di aver mangiato la mela, il frutto della conoscenza. Oggi il lavoro, per molti, è ritornato ad essere un travaglio, uno strumento di asservimento.

Ritornando allo scontro tra diversità culturali, è evidente che noi consideriamo i Rom, nel migliore dei casi, delle minoranze che devono abbandonare le loro tradizioni, che si devono sedentarizzare (anche se la grande maggioranza già lo è), perché il loro modo di vivere è superato, non è adatto alla nostra epoca. Ma quante cose non sono adatte alla nostra epoca o meglio alla nostra umanità? Basti osservare lo scempio dell’ambiente, della nostra unica “casa”, che viene fatto dall’attuale sistema capitalistico. Consideriamo anche il fatto che il loro inserimento lavorativo è oggi difficoltoso non perché sono ancorati alle loro tradizioni culturali, ma al contrario perché queste tradizioni sono state del tutto o almeno in parte cancellate e vi è stata una loro regressione culturale. Vi è anche una differente concezione del lavoro. Nella cultura tradizionale romanì il lavoro non ha altra funzione che quella del sostentamento, e non deve privare un individuo del tempo da dedicare alla propria famiglia e allo sviluppo dei rapporti sociali. L’attuale sistema economico, invece, cerca di costringere il lavoratore (soprattutto quello non privilegiato, con scarse tutele) a vivere per il lavoro, per l’iperproduzione. Il lavoro diventa così la primaria funzione sociale dell’individuo.

Pertanto, forse possiamo affermare che odiamo e abbiamo paura dei Rom perché ci ricordano il mondo che si è abbandonato.

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Modalità possibili di inserimento lavorativo: la raccolta di prodotti agricoli stagionali e il riciclaggio selettivo.

Come già sappiamo, le comunità Rom per vivere hanno fatto ricorso alle loro abilità musicali, ma hanno esercitato anche altre arti, come il lavorare il ferro, curare gli animali, soprattutto i cavalli, ma anche, se non soprattutto, sono ricorsi alla raccolta di ciò che produceva l’ambiente e di ciò che veniva abbandonato nell’ambiente (recuperare metalli da oggetti abbandonati). Noi pensiamo che oggi la nostra società non abbia bisogno di “raccoglitori”, ma tante attività agricole stagionalirichiedono “raccoglitori”, che facciamo venire anche da molto lontano, mentre abbiamo persone che vivono in Italia, sono italiane, che potrebbero essere occupate in queste attività. Se riusciamo ad occuparli in attività di raccolta lecite non avranno la necessità di praticare forme di raccolta illecita.

Inoltre, oggi parte dell’attività di raccolta la possiamo definire riciclo, ossia il recuperare da elettrodomestici ed altri beni inutilizzabili: rame, zinco, piombo ed altro, che vengono da prodotti che molto spesso vengono abbandonati nei campi o per strada perché considerati rifiuti. Sappiamo che la nostra società necessita anche di questi “raccoglitori”, del riciclaggio. Utile sarebbe avere un’efficiente filiera del riciclaggio selettivo. Molti Rom potrebbero essere inseriti in quella che oggi si chiama economia verde o economia sostenibile. Economie del domani che potrebbero avvalersi delle competenze maturate da questo popolo. Economie del domani che potrebbero svilupparsi valorizzando la cultura degli ultimi “raccoglitori”.


[1] http://www.ilsovranista.it/tripalium-il-lavoro-mortifica-luomo/

[2] Fiore Tommaso, 1955

[Questo pubblicato, per gentile concessione del curatore Giuseppe Spedicato, è l’ultimo capitolo de Il viaggio del popolo Rom in Italia e nel Salento.]

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