Nella sapienza è essenziale anche il sapore

Disimparare, diceva Roland Barthes. Già. Perché, alle volte, per apprendere veramente il nuovo, per sentire il nuovo nel profondo della propria dimensione esistenziale, della propria configurazione culturale, occorre disimpare: non le cognizioni ma le conseguenze  di quelle cognizioni. Un esempio banale. Se veramente si vuole consentire la salvezza del pianeta che abitiamo, si devono disimparare i comportamenti che per due secoli almeno abbiamo adottato, cancellarli dalla nostra mentalità, dalle nostre consuetudini, per impararne di nuovi, per assumere nuove consuetudini. 

L’esperienza di disimparare si può chiamare “sapientia”, diceva Roland Barthes. Forse la sapienza è la relazione strutturale fra il pensiero e le circostanze del tempo. Forse è la capacitàdi intuire, di prevedere, di prefigurare, di correlare passato e futuro attraverso il presente,  di comprendere pienamente la differenza che c’è fra quello che  risulta essenziale e quello che non lo è. Forse sapienza significa saper attribuire un nuovo senso alle vecchie cose, oppure recuperare il senso delle vecchie cose per applicarlo, quando ce n’è bisogno, a quelle nuove. Forse significa ripensare e risemantizzare il proprio essere nel mondo, con gli altri, con se stessi. Significa accordarsi  con il tempo

Forse significa qualcosa di diverso, qualcosa di più. Significa quello che ciascuno considera appunto essenziale per il benessere, lo sviluppo, il progresso. 

Poi Barthes diceva che sapienza vuol dire anche sapore: il sapore della conoscenza. Su quale sia la conoscenza che ha e dà sapore, si possono soltanto fare ipotesi, perché il sapore della conoscenza è determinato dal tempo, dal luogo, dalle circostanze in cui accade di conoscere qualcosa. Forse nessuna conoscenza ha più sapore di quella che avviene nella stagione dell’infanzia. Perché è quella che più di ogni altra si stratifica nell’esistenza, che predispone le visioni del mondo e della vita, che orienta le passioni, i desideri, le relazioni con le cose e le creature. La conoscenza che ha e dà sapore può essere quella che consente di andare sempre verso una conoscenza ulteriore, che costituisce una progressiva approssimazione alla bellezza, che esercita una forza di attrazione, che produce e riproduce e rielabora  significati profondi, sostanziali, essenziali, che incidono non solo sulla qualità della conoscenza ma anche sul profilo della personalità. La conoscenza che ha sapore può essere quella che  fa maturare la consapevolezza di quello che si conosce e non si conosce, che consente la  comprensione delle cose, dell’altro, di sè.

Può essere quella che ad un certo punto non si distingue più dall’esistenza. Forse può essere proprio quella. 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 25 aprile 2021]

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