Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XXXIV

di Gianluca Virgilio

La cattiva uguaglianza secondo Carlo Galli, La sindrome della cattiva uguaglianza, “La Repubblica” del 16 maggio 2020, p. 30: “Se, secondo Walter Scheidel (La grande livellatrice, Il Mulino) guerre, pestilenze e collassi istituzionali riaprono, storicamente, i giochi redistributivi nelle società occidentali, oggi rischiano invece di vedere gli effetti del morbo su una società già precedentemente in crisi: non il livellamento delle disuguaglianze, ma l’accentuazione della “cattiva” uguaglianza”. La “cattiva” uguaglianza – spiega Galli – è quella che deriva, in una democrazia da “una siderale distanza fra il comune cittadino e l’ipermiliardario, che non è solo una differenza di ricchezza ma anche di sapere e di potere. Ed è un’offesa alla comune umanità, un vulnus alla democrazia”.

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Vita e pensiero secondo Spengler, Il tramonto dell’Occidente, cit., p. 673“: “La vita può esistere senza il pensiero, ma il pensiero non è che una specie della vita. Per grandiosi che possano essere i fini che il pensiero si pone, in realtà la vita si serve del pensiero per i propri scopi e gli assegna un compito vivente affatto indipendente dalla soluzione di ogni problema astratto. Per il pensiero le soluzioni dei problemi sono vere o false, per la vita sono invece utili o inutili.”

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Che cosa c’è alla radice del lavoro intellettuale secondo Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, Adelphi, Milano 2020, p. 191: “Alla radice del lavoro intellettuale e pertanto anche dell’arte sta una “ferita”, una condizione di sofferenza non risolvibile. Nasce da quella ferita, si nutre di quella sofferenza la vocazione a capire, a chiarire, a possedere intellettualmente la propria esperienza.”

La parola “ferita” non deve far pensare ad un fatto preciso, ad un accadimento particolare che ci ha appunto “ferito”, bensì ad “una condizione di sofferenza non risolvibile”, che è propria dell’uomo, di qualunque uomo: la leopardiana souffrance, nella quale siamo immersi dal primo vagito fino all’ultimo rantolo. Il dolore genera “la vocazione a capire” le ragioni della sofferenza, con l’illusione che capire significhi lenire la sofferenza, curare la ferita, attenuare o annullare il dolore.

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La letteratura e il nulla. Giorgio Manganelli, La letteratura come menzogna, cit., p. 223 (la prosa è del 1967) : “Essa [la letteratura] possiede e governa il nulla”: è l’antipotere della letteratura: un possesso e un potere che non possiede e non governa nulla. Di qui la sua inutilità, secondo il senso comune. Eppure, senza la letteratura, l’uomo non conoscerebbe neppure l’idea del possesso e del governo, nulla, ma proprio nulla, potrebbe essere detto, e l’uomo ritornerebbe presto ad uno stato ferino.

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