L’ombra sua torna ch’era dipartita

Il culto dei caduti in Terra d’Otranto nelle opere di Antonio Bortone

Antonio Bortone, Monumento ai caduti. (Calimera, Lecce).

di Paolo Vincenti

All’indomani della Prima Guerra Mondiale, si avvertiva forte nel Paese l’esigenza di elaborare il lutto e commemorare i tanti eroi caduti per la patria attraverso atti concreti, dimostrazioni plastiche della riconoscenza della nazione nei confronti dei suoi figli perduti. Nacque così il fortunato filone della monumentalistica bellica, incoraggiata dalla politica per scopi propagandistici. Paesi e città di tutta Italia videro fiorire Monumenti ai Caduti. Nelle zone dell’Italia settentrionale, che erano state teatro diretto dell’evento bellico, sorsero Ossari e Sacrari, dato l’altissimo numero di vittime non identificate alle quali sarebbe stato negato il pietoso ufficio della sepoltura da parte dei famigliari. A tutte queste vittime senza nome venne dedicato il grande monumento del Milite Ignoto a Roma, presso l’Altare della Patria[2]. Nel resto d’Italia, sorsero Viali e Parchi della Rimembranza e, soprattutto, Monumenti ai Caduti ad opera sia di enti ed istituzioni che di associazioni laiche e cattoliche, ma anche per iniziativa privata di semplici cittadini che volevano onorare la memoria del proprio congiunto caduto in battaglia, con l’erezione di statue, stele, cippi funerari, targhe e medaglioni.

Il monumento ai caduti saldava, nella sua enorme valenza simbolica, la commemorazione con la celebrazione, la dimensione privata del dolore per la perdita, con quella pubblica del grato riconoscimento da parte della nazione. Attraverso il monumento ai caduti veniva a crearsi una formidabile unione di intenti fra Stato e cittadini, mediante un processo di riappropriazione identitaria che però non tardò a rivelare le proprie discrepanze. Vastissima è ormai l’area degli studi sui monumenti ai caduti della Prima Guerra Mondiale[3].

Abbiamo già sottolineato come questi monumenti, dall’essere espressione di lutto da parte della comunità, si trasformino in esaltazione della vittoria, allorquando del mito dell’eroe morto in guerra si impossessa il regime fascista in cerca di legittimazione per imbastire la sua campagna nazionalista, che aveva bisogno di un simbolo identitario, un puntello ideologico sul quale costruire il consenso[4].

L’iconografia funebre allora divenne iconografia trionfale, come ha ben sottolineato Gian Marco Vidor in Riti e monumenti per i morti della Grande guerra[5].

Questa voce è stata pubblicata in Arte, Storia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *