Italiani per forza. Il libro di Dino Messina su neoborbonismo e unità d’Italia

di Gigi Montonato

C’è gente in Italia a cui l’unificazione nazionale compiutasi 160 anni fa (17 marzo 1861) non va proprio giù. È la gente cosiddetta neoborbonica che insiste nel sostenere la tesi della conquista del Sud da parte del Piemonte (Alianello), che determinò la marginalizzazione del Mezzogiorno d’Italia e la sua colonizzazione da parte del Nord (Zitara), e soprattutto che fu una feroce repressione quella dei resistenti fatti passare per briganti (Aprile). Questa narrazione cita episodi della lunga guerra civile, circa dieci anni 1861-1870, che seguì all’unificazione, tra cui i famigerati casi di Pontelandolfo e di Fenestrelle, il paese nel beneventano dato alle fiamme con tutti gli abitanti per rappresaglia (questa è la versione neoborbonica), e la fortezza piemontese dove furono rinchiusi i prigionieri del fu esercito borbonico.

Le guerre civili si possono e si devono chiudere sul campo, ma è normale che restino oggetto di ricerca storiografica. Si può comprendere perfino qualche ubbia nostalgica da parte di chi non si riconosce nella realtà per così dire mutata. Ma quando si va oltre, e si “costruiscono” realtà mai esistite, minimizzandone o negandone altre, per sostenere una tesi piuttosto che un’altra, allora si passa ad una consapevole militanza politica con manifeste intenzioni di minare lo stato esistente delle cose. Di qui la tesi che il Sud stava benissimo coi Borbone, che vantava perfino dei primati, che quella dei briganti fu una guerra di liberazione e che gli occupanti nella repressione si comportarono né più né meno di come si sarebbero comportati nel secolo successivo i nazisti con le popolazioni locali. In questo scenario neoborbonico non c’è posto per tutti quegli italiani meridionali, che fin dai primi moti risorgimentali si batterono per un processo di unificazione nazionale in spirito di costituzionalismo e liberalismo, e per quella grande massa dei “viva chi vince”.

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