L’Università delle anomalie

Tabella 1. Numerosità Personale Universitario – 2019

Fonte: USTAT- MIUR http://ustat.miur.it/dati/didattica/italia/atenei  

I numeri appaiono drammatici, non volendoci soffermare sulla problematica dei docenti a contratto che esula da questo articolo (oltre 28.000), abbiamo, nel campo dei lavoratori a tempo determinato (LTD), 14.459 titolari di Assegni di Ricerca (AR) e 8.760 Ricercatori a Tempo determinato (RTD) a fronte della perdita di circa 16.000 docenti. I numeri sono chiari: la sola assunzione in pianta stabile dei LTD porterebbe il sistema universitario appena a livello di galleggiamento rispetto agli altri paesi Europei. Un processo di stabilizzazione, come chiesto dalla CGIL[2], risolverebbe solo in parte il problema.

Ma chi sono in sostanza questo piccolo esercito di AR e RTD? Sono quegli stessi studenti che hanno fatto la Tesi di Laurea e poi il Dottorato con noi, che abbiamo potuto conoscere e vagliare nelle loro capacità ed attitudini in un lasso di tempo relativamente lungo. Diciamo questo perché non arrivano dalla Luna ne spuntano come funghi, sono il risultato di un percorso selettivo quasi naturale. Non esiste il genio che un giorno si presenta a reclamare un posto da Docente. Sono delle persone che crescono nei Dipartimenti impiegando le risorse a disposizione. A questo punto non avendo a disposizione un posto in pianta stabile, ne avendo, i giovani candidati, i titoli sufficienti per una posizione da Docente, l’unica strada percorribile spesso è quella di un AR. Ma sembra facile! Bisogna trovare i fondi, che sono pochi, oppure trovare un finanziamento tramite un Progetto internazionale o nazionale (o una azienda che te lo paghi …), come vincere la lotteria. E’ per questo che in realtà molti giovani bravi che potrebbero fare un percorso in Università vengono espulsi dopo breve. Tutto questo per circa 1000 € al mese. Questa situazione è quello che in Italia si definisce Pre Ruolo (PR).

Come si può affrontare questo problema? Come viene risolto all’estero?

E’ difficilmente evitabile che esista una fase di apprendistato che prepari al ruolo scientifico e didattico in modo congruo, ma questo deve essere retribuito e riconosciuto in modo adeguato. Se analizziamo tre paesi strutturalmente diversi, come Grecia, Germania e Stati Uniti, in essi esistono posizioni PR anche piuttosto variegate (docenza, ricerca ecc.), viste come una sorta di apprendistato per la Docenza.

In sostanza bisognerebbe cambiare due cose: la visione e la posizione economica, altrimenti molti bravi giovani cresciuti e formati con le nostre risorse finiscono per trovare collocazioni all’estero dove esistono più possibilità, perdendo enormi capacità e competenze per le quali il nostro paese ha investito le sue risorse di cui altri poi traggono vantaggio.

La nostra visione sarebbe di un PR inteso come una sorta di “introduzione alla docenza”, ma con dignità economica e contributiva (cioè in grado di accumulare contributi pensionistici) e che conferisca in sostanza un titolo. La visione che appare invece avere oggi la politica è quella che le Università si debbano sostanzialmente arrangiare a trovare finanziamenti, non c’è una visione di prospettiva. La sensazione che si ha è che il provvedimento oggi in discussione, il cosiddetto progetto di legge Melicchio[3], invece che, lodevolmente, eliminare il precariato (come ruolo e condizione), elimini fisicamente la figura del precario, espellendolo semplicemente dal sistema, se non si provvede ad una adeguata forma di finanziamento.

La cosa che preoccupa è la pervicace idea che il primo livello di ingresso come posizione stabile, Professore Associato (PA), debba essere accessibile tramite l’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) che permette l’accesso alla Docenza tramite il raggiungimento in termini quantitativi di prestazioni superiori alla mediana dei PA[4]! Questa condizione, la maturazione di titoli adeguati, per forza di cose necessita una lunga permanenza come LTD e nel PR. Del fallimento dell’ASN c’è ampia letteratura[5]. Essa è una procedura che non esiste, a nostra conoscenza, in nessuna parte del mondo. Ma che in Italia, la si applica in diversi ambiti, dalla nomina dei commissari di concorso alle assunzioni in ruolo. Diventando così fondamentale per il mondo universitario.

La situazione italiana è comunque veramente singolare perché, in virtù della legga 241/10 (legge Gelmini) esistono 2 forme diverse di RTD, di tipologia A e B. Mentre RTD-A non da nessuna garanzia di transitare a PA, RTD-B (tenure track) assicura il passaggio quasi automatico nel ruolo permanete di PA se il candidato è in possesso di ASN (4.281 RTD-B nel 2019). Questo significa che l’università che bandisce il posto RTD-B deve avere già sicuro il posto da PA da assegnare al RTD-B stesso. Ciò comporta due cose fondamentali: o che il candidato vincitore RTD-B è già in possesso di ASN, o che la deve imperativamente conseguire nel frattempo (inserito in un gruppo di ricerca “forte” che garantisca l’abilitazione). L’anomalia è tale da lasciare perplessi.

Chi vive nelle Università sa bene che le Facoltà o i Dipartimento sono restii a chiedere un posto da RTD-B se non ci sono candidati possibili già in possesso di ASN, altrimenti si rischia di vanificare un posto. Una situazione questa veramente paradossale. Oppure questo può significare che bisogna essere in grado di “costruire” artificialmente a volte una abilitazione per il candidato vincitore. Oltre a sembrare la storia del cane che si morde la coda, si dimostra ancora una volta che l’ASN è una costruzione artificiale che i grandi gruppi di ricerca possono mettere in atto. Ma è ancora più paradossale che un giovane ricercatore possa avere già da subito i numeri ed i titoli dell’ASN che sono tipici della parte più virtuosa dei PA. Altroché accorciare i tempi del PR.

Le anomalie alle quali dovrebbe porre rimedio una riforma seria, sarebbe quella di abolire l’istituto dell’ASN, che appare inutile e dannosa, anche in virtù delle sue procedure. Tra l’altro, l’ASN non considera in nessun modo l’esperienza di insegnamento, che invece diventa fondamentale in Germania e Grecia, se vogliamo fare un paragone con i due paesi sopra menzionati. Questa è una altra delle gravi anomalie dell’ASN, ma non l’unica. Ad esempio, per lo stesso ruolo e classe stipendiale, ma in diversi settori scientifico disciplinari, le soglie da raggiungere mostrano una difformità estrema, creando una forte disparità nei settori scientifico disciplinari, che non appaiono spiegabili da specificità disciplinari[6].

La soluzione più semplice e logica sarebbe reintrodurre una vera terza fascia Docente a tempo indeterminato, che sarebbe una adeguata fascia di ingresso. Soluzioni di questo tipo in qualche modo esistono sia in Grecia che negli Stati Uniti. Una terza fascia docente risolverebbe anche il problema dei Ricercatori a Tempo Indeterminato (RTI) che vedrebbero riconosciute le loro giuste rivendicazioni dopo anni di ricerca e insegnamento che, come premio, li ha portati ad essere messi ad esaurimento[7]. Si eviterebbe così completamente ogni sorta di ambigua tenure track (come secondo la CGIL[8] sembra riproporre la bozza Melicchio) di dubbio senso peraltro dal punto di vista del diritto del lavoro.

Ma la cosa più preoccupante, secondo le indiscrezioni apparse anche sul sito della CGIL-FLC, è l’idea che la posizione di PA non possa essere assunta da un candidato che abbia fatto nello stesso Ateneo, AR, Dottorato o Laurea entro i 5 anni precedenti. Questa era la posizione iniziale della legge Gelmini poi cassata perché assurda e, a nostro parere, incostituzionale e lesiva delle libertà garantite ai cittadini. Un’idea di questo tipo sembra essere avanzata da chi ha poca dimestichezza  con l’università e su come si svolge la ricerca in epoca moderna. Le linee di ricerca sono tutte molto specializzate, specie per quanto riguarda le materie scientifiche. Se un professore di filosofia delle scuole superiori insegna le stesse cose da Bolzano a Palermo, per un fisico, ma anche per un economista, che fa ricerca, le cose stanno in modo molto diverso. Esistono linee di ricerca e sviluppo di esperienze anche molto specifiche che si esplicano in un gruppo e in un ambito o laboratorio particolare. Occorrono anni per creare un laboratorio e far crescere un gruppo di ricerca molto specializzato. Questo significa che i ricercatori vengono selezionati fin dalla Tesi di Laurea, dal Dottorato, AR fino alla battaglia campale della posizione stabile. E’ così che funziona. Impieghiamo anni e anni per far crescere linee di ricerca, laboratori e ricercatori. Sono mondi molto caratterizzati, sono poche e preziose le persone ben preparate in ciascun ambito specifico. Non si capisce per quale motivo il legislatore dovrebbe obbligare i ricercatori cresciuti in un ambito a doverlo lasciare per acquisire una posizione stabile[9].Dove sta il vantaggio? Perché non dare una possibilità ai giovani ricercatori di crescere e quindi continuare a lavorare nel proprio ambito? Perché i Dipartimenti dovrebbero perdere obbligatoriamente i ricercatori per i quali hanno investito, speso risorse (in gran parte pubbliche) e ricominciare da capo? E’ tarpare le ali alla ricerca. Ora è giusto che la mobilità possa essere favorita, ma deve essere libera, non forzata e con un senso. Cioè permettere di dirigersi dove esiste un ambito di crescita omogeneo ai propri interessi e competenze. Tenuto conto della specializzazione della ricerca, la questione è semplice: perché dovremmo seguire un giovane attraverso un dottorato, cercare di trovare un finanziamento per un possibile AR, costruire un percorso di crescita se poi questa risorsa viene sicuramente perduta? Non c’è logica ne spiegazione; sarà il giovane ricercatore a voler scegliere quale strada tentare, se continuare in un ambito o cambiarlo. Non può essere imposto per legge, visto che peraltro la nostra Costituzione garantisce piena libertà e sancisce che Scienza e Arte sono libere (art. 33). Diverso è quello che avviene in USA, dove se si vuol far crescere un settore, si va a cercare uno specialista bravo (indipendentemente che sia giovane o anziano). Sostanzialmente è il Dipartimento che cerca le persone che gli servono. E’ un percorso completamente opposto, in un ambito assolutamente libero, dove però è priorità far crescere e progredire anche i propri giovani nel percorso della Docenza. Se il problema è il timore della cosiddetta “cooptazione” (termine ambiguo, dalla Treccani, chiamata, una sorta di “elezione”), bisogna chiarire una volta per tutte che l’Università in tutto il mondo è basata sulla cooptazione, perché i ricercatori crescono secondo un percorso quasi naturale di contatto e collaborazione all’interno dei Dipartimenti, come abbiamo spiegato in precedenza, non vengono dalla Luna. Sarebbe falso affermare il contrario; ciò avviene in tutto il mondo e se correttamente intesa, ha un suo valore che è quello di inserire e far crescere in un percorso i giovani promettenti. Non va confusa con l’imbroglio che è tutt’altra cosa.

C’è un altro punto che giustamente è stato messo in evidenza[10], riguardo alla necessità che ci sia (nella stesura di questo disegno di Legge Melicchio) un periodo transitorio che favorisca la stabilizzazioni di chi in questi anni ha fatto ricerca stritolato dall’ingranaggio della mancanza di risorse e di posti.

In conclusione, ci pare di poter affermare quanto segue.

In prima istanza (1), ogni provvedimento legislativo relativo al PR non funziona se non è adeguatamente finanziato, non si possono fare riforme a costo zero, specie in una situazione in cui l’università Italiana è in profonda crisi di risorse e personale. Il risultato sarebbe l’espulsione di molti giovani validi dal sistema, cioè l’eliminazione del precario e non del precariato. Il primo punto è dunque rifinanziare adeguatamente il sistema.

In seconda istanza, (2) il PR deve essere considerato come rapporto con un professionista e quindi adeguatamente retribuito con tutte le garanzie contributive e pensionistiche dei lavoratori secondo la nostra Costituzione e le leggi che regolano il lavoro e la sua libertà. Non è una questione terminologica, chiamate il PR come volete, è possibile creare una sorta di professore Junior (o alti nomi più o meno fantasiosi) come in Germania (ma anche USA e Grecia hanno posizioni simili), con contratti anche annuali, a patto che ci siano le risorse, altrimenti tutti gli sforzi del legislatore sarebbero inutili. L’importante è che possa fare esperienza scientifica ed anche didattica, accumulare esperienza e titoli.

In terza istanza, (3), abolire le posizioni di RTD ed anche la ASN, istituire un ruolo docente di ingresso (terza fascia – peraltro proprio la legge Gelmini ha aperto comunque questa possibilità istituendo il Professore Aggregato) che semplificherebbe appunto l’ingresso in ruolo dei giovani e finalmente darebbe dignità a tutti i RTI che in esso confluirebbero.

In quarta istanza (4), per quanto riguarda il reclutamento, procedure snelle e a basso costo che fanno capo ai Dipartimenti, grosso modo come oggi, vanno bene (Grecia, Germania e USA fanno cose simili), le grandi procedure nazionali non hanno mai dato nessuna garanzia di equità (neanche in passato).

Una notazione finale: è veramente spiacevole che un progetto di legge così importante non sia stato sottoposto all’attenzione e al dibattito della società civile e delle parti sociali. Anche su questo punto ci paiono giuste le critiche. In un paese democratico, dove il Parlamento è espressione dei cittadini, il confronto con le parti sociali deve essere un processo naturale, pena di partorire riforme avulse dalla realtà storica e sociale.

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