Un libro della Società di Storia Patria per la Puglia di Lecce: Il Pci, l’Italia e il Salento nel centenario 1921-2021

di Gigi Montonato

Non poteva passare inosservato il centenario del Pci nel Salento. La Sezione di Lecce della Società di Storia Patria per la Puglia, presidente il prof. Mario Spedicato, docente di Storia Moderna presso l’Università del Salento, gli ha dedicato un volume, il “Quaderno de l’Idomeneo” n. 47, Il Pci, l’Italia e il Salento. Democrazia, diritti e lavoro nel “secolo breve”, a cura dello stesso Spedicato e di Salvatore Coppola (Giorgiani Editore, 2021, pp. 328). Raccoglie nove saggi, di Egidio Zacheo, Sebastian Mattei, Salvatore Coppola, Maurizio Nocera, Alessio Palumbo, Remigio Morelli, Salvatore Romeo, Antonio Bonatesta, Sandro Frisullo. Alcuni di essi nella loro vita hanno unito la militanza alla ricerca, attori e testimoni insieme, che, lungi dall’inficiare l’attendibilità dei loro assunti, al netto di comprensibili “appartenenze”, l’arricchiscono con atmosfere ed esperienze vissute. E’ un libro che non può essere ricondotto a sintesi per la differenza dei temi, dei tempi e degli approcci.

Egidio Zacheo (Il Pci e l’Italia), docente di Dottrine Politiche, formatosi con Umberto Cerroni all’Università di Lecce, più volte sindaco di Campi Salentina, si occupa del Pci nella sua dimensione nazionale. La sua posizione è rigorosamente ortodossa, individuando nella togliattiana Svolta di Salerno, nella gramsciana Unità e nel berlingueriano Compromesso Storico la riproposizione della stessa visione strategica nel continuismo della conquista democratica del potere. “La rivoluzione a cui pensa il Pci – scrive – è di riuscire dove tutti gli altri hanno fallito: costruire uno Stato davvero unitario e un paese davvero unito” (p. 16). Un percorso che non può non passare tra “contraddizioni e incertezze” (p. 9) e cessa con la morte di Berlinguer, quando “il PCI subisce un vero e proprio collasso culturale” (p. 21). “I suoi successori – osserva Zacheo – si rivelano inadatti a portare avanti una eredità tanto impegnativa e «raffinata»”.  Il partito cessa di essere perfino “comunista” con la svolta della Bolognina nel 1991, coincidente il settantesimo anniversario della nascita. Quella svolta, conclude Zacheo, “per la tradizione comunista rappresentava una vera discontinuità” (p. 21).

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