Zibaldone galatinese (Pensieri all’alba) XXXVI

di Gianluca Virgilio

Pensieri all’alba. Perché di giorno non mi tornano in mente, precise e nitide, le parole che ripeto nel dormiveglia, quando la notte sta per cedere all’alba? Un pensiero felice, l’inizio promettente di un romanzo, una proposizione saggia e balenante come un aforisma, un verso memorabile: tutto svanisce nella veglia diurna. Dovrò rassegnarmi ad una pratica forse solo sognata della letteratura. Potrei destarmi del tutto, accendere la luce e prendere carta e penna. Ma sarebbe inutile, non ho fiducia nella permanenza di queste oscure ombre e crederei invece di inseguire fantasmi. Pertanto, non oso neppure preparare carta e penna sul mio comodino. Tuttavia non mi sottraggo all’esercizio della ripetizione di queste voci indecifrabili, sebbene sappia che non potrò imprimere nella mente quanto verrà meno non appena aprirò gli occhi; perché esse non vengono mai da sole, ma precedute e accompagnate da un seguito di pensieri, sensazioni, impressioni, dentro un alone di circostanze oniriche, che sarebbe impossibile ricostruire. Così, ciò che era chiarissimo diventa indicibile. Forse, in questa evidenza inattingibile vagano liberi e forti i pensieri poetici. Quando mi sveglio, mi ritrovo su una soglia invalicabile, su cui ho indugiato a lungo sul far dell’alba come su di una porta aperta, e allora prendo a parlare e a parlare, chiacchiero fino a stancarmi per tutto il giorno. La parola non è più sicura di sé, non è più quella di prima e la porta rimane chiusa. Poi, sfinito, a tarda notte vado a letto. Nel dormiveglia che precede il sonno, mi consolo pensando che fra qualche ora le parole verranno a trovarmi ed io mi eserciterò ancora per ricordarle finché non svaniscano alla prima luce del sole.

***

Digressione. Scrive Daniello Bartoli, Della vita e dell’Istituto di S. Ignazio fondatore della Compagnia di Gesù, Torino, per Giacinto Marietti, 1825, p. 15, a proposito del suo modus scribendi: “Finalmente, in questa prima opera, io mi farò alcune volte lecito di fare come di sé medesimo S. Gregorio Pontefice disse, a somiglianza de’ fiumi, che ove incontrino alcun basso vuoto a lato delle loro rive, senza arrestare il diritto corso che tengono, si divertono a riempirlo, e passano oltre. Converrammi, dico, ove necessità il richiegga, fare alcuna digressione, senza però tormi di via fuor del suggetto principale che ho per le mani”.

Ottima immagine per descrivere il fluire digressivo della scrittura di Bartoli e poi qualunque vera scrittura digressiva: un fiume, il cui corso allaga le golene, ma non cessa di seguire la pendenza naturale del terreno. Aveva ragione Giacomo Leopardi di lodare la lingua di padre Bartoli!

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