Ritrovare i classici per ritrovare se stessi

Qualche volta sopravviene l’impressione che la mutazione antropologica provocata dalla tecnologia di massa abbia determinato una visione del mondo che non riesce a comprendere i significati elaborati dai classici. La tecnologia di massa ha cambiato le logiche, le categorie, le configurazioni del nostro pensiero, le nostre percezioni, le nostre modalità di acquisizione delle conoscenze, il nostro immaginario, i significati che attribuiamo alle nostre esperienze, per cui ci risulta difficile comprendere le strutture semantiche elaborate dai classici. 

Certo, si continua a studiarli. Ma studiarli non significa “sentirli”, avvertire una corrispondenza, scoprire un’appartenenza. Quei libri sono lontani, appartengono ad un mondo finito, che non esiste più. Anzi, costituiscono la testimonianza della  scomparsa di una cultura.

Se ne deve prendere atto. Ma bisogna anche prendere atto che  senza la comprensione dei significati dei classici,  non può esistere una comprensione dei significati profondi dell’essere e dell’esistere. Bisogna anche prendere atto che senza l’esperienza di ricerca delle risposte alle domande che i classici scaraventano come pietre di fionda, ci si deve inevitabilmente fermare alla superficie, all’apparenza delle cose, dei fenomeni, delle storie. Senza quell’esperienza di ricerca non si può indagare, non si può scoprire che cosa c’è sotto, dietro, dentro, non si possono percepire i riflessi, rintracciare i riferimenti, individuare le cause e gli effetti. I classici dicono sempre quello che accadrà raccontando quello che è accaduto; dicono il futuro che se ne sta sempre acquattato in un angolo nascosto del passato. E’ per  questo che attraversano i tempi e le generazioni riproponendo sempre le stesse domande ma pretendendo sempre risposte diverse. Le domande sono sempre le stesse perché sono le domande che interessano e coinvolgono il destino di tutti e di ciascuno. Le risposte sono sempre diverse perché i tempi richiedono un diverso confronto con i destini. 

Ma la relazione con i classici degli uomini di questo tempo ha subito una frattura, si diceva. Però, se non si vuole consegnarsi in maniera definitiva alla superficialità come condizione dell’esistenza, occorre sanare la frattura, ricomporre la relazione, ricostituire la prossimità. Non è facile. Sono cambiati i linguaggi, le forme di espressione, i canali di comunicazione, le modalità della narrazione, i tempi e gli spazi della riflessione. Sono cambiati i modi di essere nel mondo per cui diventa quasi impossibile riconoscersi ancora in certe identità, in certe storie, nelle vicissitudini, nelle aspirazioni, nei sogni, nelle passioni, ai quali un classico dà forma. Forse è cambiato anche il nostro sentimento del tempo. Non è facile. Ma lo si deve fare. Si deve tentare una riconciliazione, che probabilmente può verificarsi soltanto attraverso una diversa e nuova interpretazione delle metafore che i classici proiettano. C’è un solo luogo in cui questa riconciliazione indispensabile può avvenire. E’ un luogo in cui si attribuiscono costantemente significati nuovi a saperi antichi. E’ un luogo che si chiama scuola. Se la riconciliazione non avviene in quel luogo, non può avvenire in nessun altro.  

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 19 settembre 2021]

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