Naufraggi di Nicola G. De Donno

di Viator

L’acqua a llu limmatare ne facìa

ruscelliceddi ca cisà a ddu scìane.

Su bbarchette de carta li ffidâne

sonni de jaggi a ìsule luntane.

E pperò le bbarchette naufracâne

mparu a lli sonni de la fantasìa

prestu, a llu primu otaluru ca cchiâne,

o pe ll’acqua ca susu li chiuvìa.

Quante bbarche de sonni àggiu varate,

cchiù ggrande, ca parìane verità,

e mme su’ tutte, tutte, naufracate!

L’ùrtima quista, de palore. Ca

su’ ppalore de carta, su’ bblabblà,

susu bbarche de carta ggià nfunnate.

Naufragi. La pioggia lungo la soglia ci faceva / ruscelletti che chissà dove andavano. / Su barchette di carta gli affidavamo / sogni di viaggi a isole lontane. // E però le barchette naufragavano / insieme ai sogni della fantasia / presto, al primo vortice che trovavano, / o per l’acqua che pioveva loro sopra. // Quante barche di sogni ho varate, / più grande, che parevano verità, / e mi sono tutte, tutte, naufragate! // l’ultima questa, di parole. Che / son parole di carta, son blablà, / su barche di carta già affondate.

Questa poesia del poeta dialettale magliese Nicola G. De Donno (1920-2004) è compresa nella raccolta del 1999 “Palore (1988 – 1998)” nella prestigiosissima edizione ‘All’insegna del Pesce d’Oro’ dell’editore milanese Vanni Scheiwiller, dove il Nostro era approdato nel 1988 con La guerra de Utràntu (La guerra di Otranto). Lo Scheiwiller, che amava il Salento e vi trascorreva ogni anno le vacanze fra Otranto e Gallipoli, s’innamorò letteralmente di De Donno, e gli pubblicò negli anni successivi altre raccolte di poesie. All’epoca egli era un’eccellenza dell’editoria poetica in Italia. Sarebbe bastato questo per incrinare il pessimismo, ma sarebbe meglio dire il nichilismo, dell’Autore. Che cosa sogna un poeta o uno scrittore se non di raggiungere un prestigioso successo editoriale? E invece per lui è l’ennesimo naufraggiu. Dalle infantili “bbarchette de carta”, a cui affidare “sonni de jaggi a ìsule luntane”, la vita è tutto un susseguirsi di insuccessi, di sogni svaniti, naufraggi, o al primo intoppo di navigazione, “a llu primu otaluru ca cchiâne”, o per qualche altra sopraggiunta difficoltà, “o pe ll’acqua ca susu li chiuvìa”. Per l’uomo non c’è scampo. Di sotto o di sopra, da una parte o dall’altra, è sempre la fine. Un’esperienza che si incomincia ad imparare da piccoli. Da adulti non cambia niente. Ogni età ha i suoi sogni. L’uomo continua sempre a porsi dei traguardi, ad inseguire “verità” che tali almeno si credono: “Quante bbarche de sonni àggiu varate, / cchiù ggrande, ca parìane verità”, tutte poi inesorabilmente naufragate. L’ultima, rimasta al poeta, giunto al termine della stagione dei sogni e della vita, è la poesia, quella che sembra smentirlo. Ma è solo barca “de parole”. Non si tratta di non aver conseguito un successo. Anche il successo raggiunto è nulla, il dedonniano “gnenti”. Che cosa è la poesia per De Donno? Restando nella stessa metafora, “palore de carta”, null’altro che “bblabblà, / susu bbarche de carta ggià nfunnate”.

[“Presenza taurisanese” anno XXXIX n. 9-10 – Settembre- Ottobre 2021, p. 7]

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