Guida al grottesco

In pittura, nella raffigurazione con la tecnica della condensazione, vengono aggrumati degli elementi per cui diventa incomprensibile, non più riconoscibile la loro funzione originaria, oppure vengono dilatati, allontanati, con lo stesso risultato. Ancora, degli oggetti possono essere decontestualizzati rispetto al loro uso abituale, oppure viene fatta una sostituzione di elementi con altri elementi; il grottesco è un ribaltamento delle forme o rovesciamento, quando per esempio il deretano prenda il posto della testa, o il didietro del corpo venga messo davanti, oppure i piedi girati all’indietro.

Da punto di vista teoretico, il brutto, nella sua identificazione con il grottesco, ha seguito un percorso lungo che, secondo la ricostruzione di Remo Bodei (Le forme del bello, 2003), si potrebbe sintetizzare nelle seguenti tappe. Nella concezione classica, a partire da Platone, il brutto viene condannato radicalmente ed estromesso da qualsiasi considerazione sull’arte. Il brutto, per essere incongruità, disarmonia, scardina il concetto eminentemente classico di bello come proporzione ed eleganza delle forme, e per questo non compare nelle dissertazioni. Come si sa, infatti, la bellezza viene intesa dai classici secondo la triade, appunto platonica, di bello, buono e vero. Il brutto è in questo senso il contrario dell’arte, e questa condanna totale, da Platone giungerà, attraverso Plotino con le sue Enneadi, anche al Medioevo, permeando la teorie estetiche dei secoli fino al Rinascimento. Il bello nella concezione classica ha una valenza morale, sintetizzata dalla formula greca kalòs kai agathòs, e a maggior ragione il brutto, che è indecenza, corruzione morale, non vi rientra. Nel Settecento, che infatti riprende il concetto classico di bellezza come armonia delle forme, pulizia, linearità, il brutto viene ancora estromesso dall’arte neoclassica, di cui uno dei massimi teorizzatori è Lessing con il suo Laocoonte, che utilizza come grandiosi esempi della bellezza le statue dell’arte antica.

Dunque, prima di tutto il grottesco rientra nella categoria del brutto, inteso come assenza del bello o come contrapposizione al bello. Inoltre, il grottesco appartiene alla categoria del comico e in particolare al novero del ridicolo, che del comico è una degenerazione. Esso può considerarsi un venir meno dell’ordine formale che caratterizza l’essenza del bello, dunque come disarticolazione, confusione e anche assenza di unità; per esempio, nel corpo umano, si potrebbe pensare ad una scomposizione delle parti, come quella attuata da Hieronimus Bosch nei suoi quadri in cui sezioni del corpo, disaggregate, volutamente esagerate, campeggiano in un caos senza limiti. Il grottesco utilizza un iperrealismo talmente forte che appare assurdo, o al contrario una incompiutezza quasi astratta; in ogni caso, i suoi elementi nodali rimangono la discrepanza, la smisuratezza, l’anomalia, come informa uno dei suoi massimi teorizzatori che è Michail Bachtin. Questa iperbolicità nel grottesco procura degli effetti di straniamento simili a quelli del comico, che però debordano nel ridicolo, e Bachtin utilizza come caso esemplare il romanzo Gargantua e Pantagruel di Rabelais.  La rappresentazione iperbolica del corpo umano può suscitare il riso, apparire divertente, sia pure nel suo effetto straniante, giocosa, in fin dei conti positiva, come in Rabelais, oppure può essere triste, quando del corpo vengano messe in risalto le funzioni corporali, e in questo caso è attuata in chiave negativa, quasi deprimente, come per esempio avviene in Swift. Il ridicolo è proprio conditio sine qua non del grottesco, fin dalla Commedia d’età classica, analizzata anche da Aristotele nella sua Poetica.

Nell’Ottocento, il brutto entra nelle teorizzazioni estetiche e acquista un suo statuto autonomo, viene considerato come categoria a sé, in termini di contrapposizione e ribaltamento della categoria del bello. Il brutto quindi, come contrario del bello, guadagna una sua dimensione ontologica. La principale teorizzazione in questo senso è quella di Karl Rosenkraz con l’Estetica del brutto del 1853, ma si deve anche a Victor Hugo, il quale espone le sue idee in materia nella Prefazione della tragedia Cromwell, del 1827.  Hugo rappresenta il brutto, nella sua dimensione grottesca, in opere come Notre Dame de Paris, con la famosa figura del gobbo Quasimodo, repellente e deforme, e L’uomo che ride, con la inquietante e sardonica figura di Gwynplaine, ma anche ne I lavoratori del mare, con la orrorifica figura della piovra antropomorfa, e ne Il re si diverte, con la figura dello sciancato gobbo Triboulet che, trasposto in musica da Giuseppe Verdi, diventa Il Rigoletto. Grottesco è il paese di Cuccagna e in generale tutti i mondi alla rovescia partoriti dalla letteratura, come Bengodi, Capinculo, il Paese di Prete Gianni, il Paese di Carnevale, ecc. 

Quanto finora sommariamente descritto viene dettagliatamente esposto nel libro che si recensisce. Nel capitolo su “Barocco ed eccesso”, si passa in rassegna l’uso del grottesco nella letteratura inglese d’età elisabettiana e giacobita. Il riferimento è alle opere La duchessa di Amalfi, di Webster, Peccato che sia una puttana, di John Ford o Tito Andronico di Shakespeare, nelle quali sulla componente orrorifica, mutuata direttamente da Seneca, si colloca l’elemento grottesco, in termini di straniamento o paradosso, soprattutto in opere come Re Lear, di cui viene analizzata l’emblematica figura del fool, il buffone di corte, o Macbeth o Troilo e Cressidra. In un altro capitolo del libro, si passano in rassegna le maschere della commedia dell’arte: Arlecchino e Colombina, Pantalone, Rosaura, Brighella, la Gnaga o donna gatto, e il loro rapporto con Venezia. Uno dei capitoli più interessanti è quello su circo e cinema. Un saggio sul grottesco non può non prendere in considerazione la figura del diavolo nelle infinite sue declinazioni, dai trattati medievali fino alla sua rappresentazione nella letteratura horror e nella cinematografia contemporanee, passando per L’Inferno di Dante, Belfagor di Machiavelli ed il Faust prima marlowiano cinquecentesco, poi goethiano settecentesco, per arrivare ai Faust novecenteschi di Pessoa e di Thomas Mann. Viene trattata anche la Fiaba per poi arrivare al Grand Guignol, che può essere considerato il teatro del grottesco par excellence. In questo capitolo, viene analizzato un classico del grottesco, ovvero il già citato L’Ubu Roi di Alfred Jarry, rappresentato nel 1896 a Parigi, uno dei testi fondamentali della dissoluzione contemporanea, nelle sue varie declinazioni di Ubu incatenato, Ubu cornuto, Ubu sulla collina e gli altri episodi di una saga al centro della quale troneggia, pantagruelico, Ubu con il suo ventre enorme e la sua fame insaziabile, soprattutto con la sua deformità del fisico che riflette quella dell’animo. Jarry aveva inventato il personaggio nel suo romanzo Guignol, del 1893, che si può considerare un precursore del genere. Questa forma di teatro, ideata da Oscar Meténier,  rappresenta forse l’estensione più emblematica del grottesco novecentesco, con i  personaggi dei bassifondi cittadini che mette in scena, le puttane, i delinquenti, i derelitti e tutta la vara umanità di scarto della moderna civiltà, grazie agli autori Antona Taverna e André de Lorde, i quali, insieme a molti altri, rappresentano sul palco, con tocco verista, uccisioni e scannamenti, con abbondante uso di strumenti di tortura, armi da taglio e sangue che sgorga a fiotti insozzando gli spettatori della prima fila. Il Grand Guignol è un teatro di avanguardia che attraverso la spettacolarizzazione dell’orrore, della violenza, delle pulsioni più basse di un’umanità criminale e assassina, sulla quale si esercita letterariamente Antonin Artaud, costituisce la punta più estrema del grottesco, che si avvale di tinte forti, contrasti netti, e fa gridare allo scandalo i benpensanti. E se il grottesco rimanda a tutto ciò che è bizzarro, deforme, spaventevole, quale migliore estrinsecazione dei mostri? Dalla letteratura gotica al fantastico moderno, il libro offre una imperdibile cavalcata attraverso i migliori parti letterari degli autori del terrore.  Così come attraverso i vampiri e gli spettri e i fantasmi. Nella vasta letteratura e nella cinematografia su mostri, vampiri e fantasmi, va da sé che sia facilissimo che si scada nel ridicolo, che l’orrore divenga parodia, demistificazione del genere stesso. Anche nel genere fantascientifico, il grottesco rappresenta una degenerazione nel senso del suo opposto; dalla fantascienza classica, cioè che si basa sulla scienza e innesta su una base scientifica l’elemento di incredibilità, si passa al grottesco che è invece anti classico, ovvero anti scientifico. In particolare il grottesco riguarda quel sottogenere della fantascienza che è il fantascientifico comico, in cui esso si manifesta più che altro come satirico. In conclusione, Guida al grottesco è un saggio molto denso e ricco di spunti di riflessione erudita.

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