Gli scritti critici di Vittorio Bodini

di Irene Pagliara

Questo volume («Allargare il gioco». Scritti critici (1941-1970), a cura di Antonio Lucio Giannone, Nardò, Besa Muci, 2020), che raccoglie ventisei scritti di carattere critico e saggistico, preceduti da una completa introduzione e seguiti da un’accurata nota del curatore, costituisce un ulteriore significativo tassello nella ricostruzione del percorso letterario di Vittorio Bodini. Tali interventi critici, pubblicati su periodici, riviste e quotidiani nell’arco di un trentennio, accompagnano in parallelo tutta l’attività poetica e quella da ispanista dell’autore, risultando particolarmente utili e interessanti nell’ottica di una più profonda comprensione e riflessione sul suo percorso creativo, se è vero che, parafrasando il Pavese de Il mestiere di vivere, nella lettura si ricercano “pensieri già da noi pensati”, che offrendo delle conferme finiscano per far cogliere nuovi spunti e comprendere meglio le ragioni della propria ricerca.

Gli scritti coprono un periodo piuttosto ampio, che dal 1941 giunge fino al 1970, anno della morte dello scrittore, consentendo di individuare progressivamente gli interessi e gli snodi principali della riflessione poetica, che troveranno riscontro anche nella produzione creativa. Il periodo più fertile, come si può evincere dal numero di articoli pubblicati, è quello tra il 1941 e il 1953, periodo in cui Bodini, dopo il ritorno da Firenze, dove si era laureato in Filosofia, comincia a collaborare con Oreste Macrì alla redazione della “terza pagina” del periodico leccese “Vedetta Mediterranea”, prima di approdare, nel 1954, alla fondazione della propria rivista letteraria, “L’esperienza poetica”. Si tratta anche di una fase in cui, esaurita ormai da tempo la giovanile adesione al Futurismo dei primi anni Trenta e stabilito un contatto con i rappresentanti della “giovane letteratura” ermetica a Firenze, avvengono le fondamentali scoperte letterarie, che aiuteranno lo scrittore nella definizione delle proprie convinzioni e dei propri nuclei poetici fondanti. Sono gli anni dell’apertura alla cultura europea, come testimoniano il Compianto di Joyce e le Opinioni su Poe e Kafka, che dimostrano insieme il coraggio di parlare, su una rivista apertamente fascista, di autori spesso attaccati dalla propaganda antisemita e «il tentativo del giovane scrittore di mettere in collegamento un’estrema provincia meridionale, dove ormai viveva, con l’Europa», come scriverà successivamente in una poesia della Luna dei Borboni: “Il Sud ci fu padre / e nostra madre l’Europa”(p. 10).

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