I racconti di Natale di Luigi Scorrano

È bene chiarire subito però che quelli di Scorrano non sono racconti destinati a un pubblico di bambini o di ragazzi o, comunque, non esclusivamente ad essi. L’immagine che l’autore ci dà del Natale infatti non è per niente edulcorata, consolatoria, melensa, all’insegna della bontà ad ogni costo, come succede spesso in questi casi, anzi è problematica, inquieta e, a tratti, inquietante, con frequenti riferimenti all’attualità.

Due componenti si alternano e a volte si fondono nelle «storie» di Scorrano: la componente realistica e quella fantastica. La prima prevale in quelle che sviluppano un tema classico nella tipologia dei racconti di Natale: i ricordi d’infanzia. D’altronde, è significativa l’epigrafe del libro, tratta da un verso di Francis Jammes: «J’entends derrière moi le pas de mon enfance». All’autore però non interessa tanto rievocare episodi lontani nel tempo quanto ricreare lo ‘spirito’ dell’infanzia, sepolto sotto le esperienze, spesso dure e travagliate, dell’età adulta. Ecco allora che egli guarda a quelle remote vicende con gli occhi del bambino di una volta, con le capacità straordinarie che hanno i bambini di stupirsi, di fantasticare, d’improvvisare.

E mentre agli adulti il giorno di Natale sembra un giorno qualunque, «come tutti gli altri», per i bambini è un evento davvero unico, nel quale tutto dovrebbe essere diverso. Nel racconto intitolato A Natale, i treni, ad esempio, l’io narrante ricorda che da piccolo pensava che in questo giorno anche i treni avessero dovuto fermarsi e si stupiva del loro passaggio:

Mi stupiva che passassero i treni a Natale.

Dove andavano? Chi viaggiava quel giorno mentre tutti erano in festa, il lavoro dimenticato, smesse le preoccupazioni, gioiosa l’atmosfera nelle case e per le strade? E il capostazione era là, a dare il segnale di partenza anche a natale? E il macchinista azionava le sue leve e faceva correre il treno anche a Natale? E il custode dei passaggi a livello era là, incatenato al suo posto di sorveglianza, senza potersi distrarre in quel giorno in cui l’allegra distrazione sembrava l’unico bene di tutti? (p. 12)

Così, pure, solo un bambino può essere capace di inventare storie prendendo spunto dai personaggi del presepe, come fa il piccolo protagonista di L’uomo che guarda le stelle, manifestando precoci dubbi e inquietudini di natura esistenziale. Non a caso il più amato da lui è proprio «l’uomo che guarda le stelle», che col suo atteggiamento assorto e contemplativo sembra quasi riflettere sul rapporto tra l’uomo e  l’infinito:

Si sorprende a pensare al “pupo” del presepio che amava di più: l’uomo che guarda le stelle. Assorto, incantato, sprofondato lo sguardo nell’immenso sciame d’astri, ubriacato dalla contemplazione di quegli splendori lontani e misteriosi. La terra su cui poggiano i suoi piedi s’è come allontanata. Tutta l’energia si concentra nello sguardo, e le braccia a mezz’aria sembrano aperte all’abbraccio di un’indicibile meraviglia. L’uomo delle stelle è un poeta, e lui ha amato i poeti. Come lui, l’uomo delle stelle non cerca la terra, il mondo, la realtà che lo circonda. Lascia che la sua vita scorra altrove; nel momento in cui ha levato lo sguardo verso l’alto e si è lasciato catturare dallo spettacolo celeste ha desiderato di tornare più con gli occhi sulla terra. Il cielo del presepio è pieno di promesse e di premonizioni. Per una nascita o per una morte (p. 16).

 Anche da adulto egli continuerà a porsi questi interrogativi, come quando, ricordando i versi del grande poeta inglese Thomas Stearns Eliot, si sorprende a pensare al giorno di Natale «come a un giorno d’addio».

Ma l’infanzia significa anche prontezza di riflessi, imprevedibilità, improvvisazione che sono le doti che rivelano i bambini nel racconto La recita di Natale, allorché, davanti alla comparsa improvvisa di genitori e nonni durante la prova della recita, decidono di anticipare la lettura della letterina di Natale, approfittando, a loro favore, dell’imprevisto.

Collegato alle memorie d’infanzia è il confronto tra passato e presente che è un altro dei temi tipici di questo genere. È inevitabile, ad esempio, osservare come tradizioni e abitudini natalizie siano radicalmente mutate. Ora i termosifoni – fa notare l’autore – hanno preso il posto dei falò che si accendevano gioiosamente per le strade dei paesi la notte di Natale e la plastica ha sostituito la terracotta e la cartapesta con le quali gli artigiani costruivano le statuine del presepio. Questo confronto non è fatto però da Scorrano con spirito moralistico, bensì sempre con discrezione e senso della misura, e tutto è tenuto sul filo di una leggera ironia e allusività.

Il paragone tra passato e presente ritorna e anzi si accentua nel gruppo di racconti nei quali a prevalere è la componente fantastica. Qui compare anche un altro topos dei racconti di Natale:  la ‘sospensione della normalità’. In questo giorno infatti è come se un meccanismo, quello dell’ordinario svolgimento delle azioni degli uomini, si inceppasse all’improvviso, causando problemi e preoccupazioni. È ciò che accade nel racconto Quell’anno, le parole…, nel quale si narra che un anno le parole, vere o false, importanti o insignificanti, diventano di moda come regalo di Natale e alla fine, come tutte le cose inutili, vanno a finire, con «le reliquie dello spreco», nei contenitori di spazzatura, a dimostrazione del carattere eminentemente commerciale che ha assunto questa festa ai nostri giorni. Ma anche Uno strano caso vuole essere un’allusione alla sparizione del significato più autentico e profondo del Natale, che per uno «strano caso» appunto non figura più sul calendario, creando scompiglio tra la gente e sconvolgendo programmi e abitudini delle famiglie, di tipo prevalentemente consumistico.

Insomma, per dirla con le parole dell’autore, Natale non è più la «favola tenera e remota di un tempo», ma una «favola che non emoziona più nessuno».

Come il Natale, anche l’Epifania è legata all’infanzia perché la Befana compie un miracolo per i bambini ma anche per gli adulti, quello dell’illusione, e dimostra di saper amministrare la giustizia con saggezza. Per questo la vecchina che porta i doni merita di essere santificata dal papa, come si narra in Ma cos’è questa storia della Befana, anche se questa festività e il mondo di valori da essa rappresentata sono disprezzati dal mondo d’oggi.

Una punta di polemica nei confronti dell’attualità affiora anche nei racconti puramente fantastici dove è presente ancora un altro topos di questo genere narrativo, quello delle statuine che si animano, parlano, compiono azioni, prendono decisioni imprevedibili. È il caso di Un presepio all’aria, dove i ‘pupi’ danno vita a una sorta di contestazione generale, abbandonando la terra e seguendo il Bambino Gesù in cielo, in segno di protesta contro i «miasmi» irrespirabili del pianeta e la «perpetua rissa tra gli uomini» che provoca in continuazione guerre in ogni parte del mondo:

Il Bambino, in alto, guidava la schiera accompagnato dagli angeli. I pastori allungavano il collo per vedere dove s’andasse, ma non scorgevano nulla. Cercavano di leggere i pensieri dei Magi, ma nulla lasciava trasparire l’atteggiamento grave dei sapienti.

Così andavano nell’azzurra notte, nella luce della luna e delle stelle e nella trasparenza dell’aria, i pupi del presepio. Un presepio nell’aria pura, lontano dai miasmi della terra, dalla perpetua rissa degli uomini (p. 42).

Una soluzione opposta è prospettata invece in Il Bambino e la stella, dove il Bambino Gesù decide all’ultimo momento, nonostante tutto, di scendere sulla terra ancora una volta  per portare il suo messaggio di pace e di fratellanza a chi è disposto ad ascoltarlo, si tratti pure di un solo essere, e magari di un bambino come lui:

Emise un profondo sospiro. Doveva andare. Il mondo attendeva il Natale, e senza di lui non c’era Natale. Non gli badavano troppo, ma appena quel tanto che serviva a ricordare che Natale era legato alla sua figura. Il resto era un articolatissimo spot pubblicitario.

Sì, bisogna andare. Forse un cuore, sulla terra, lo desiderava davvero: gli sarebbe bastato quello (p. 52).

Persino i Magi, nel racconto omonimo, dimenticati dai ragazzini che al giorno d’oggi preferiscono giocare coi computer, non riescono più a raggiungere la grotta per portare i loro doni al Redentore come hanno sempre fatto, la notte di Natale, da duemila anni a questa parte. E uno di loro addirittura, in Baldassarre per la strada, come catapultato da una straordinaria macchina del tempo, si ritrova per le strade piene di automobili di una metropoli moderna e si smarrisce col suo cammello. A questo punto ci penserà la stella cometa a indicargli la strada che però non è quella che porta a Betlemme ma quella opposta, che lo conduce a casa. E per la via del ritorno Baldassarre ritrova Gesù nei bambini che incontra per caso, anche qui con chiare allusioni alla drammatica situazione di certe zone della terra:

A casa e per la strada c’erano tanti bambini, lo sapeva, che con i loro sguardi muti e penetranti chiedevano non un dono di circostanza, ma qualcosa di essenziale. Chiedevano, pensò, di vivere la loro infanzia e di intravedere la stella, la loro stella! che li avrebbe portati ad una mèta gioiosa. Era così, ecco! ed ora lui sapeva. Sapeva che anche quei bambini avrebbero teso verso di lui le braccia attendendo una carezza, un gesto di solidarietà (p. 68).

Ma il racconto più riuscito, tra quelli di tipo ‘fantastico’, è forse Nel buio passò un dolce mormorare, dove protagonisti assoluti diventano le statuine di Maria e Giuseppe che non solo si animano, ma, con una felice invenzione poetica, si umanizzano al punto da diventare due genitori qualsiasi di una qualsiasi parte del mondo che si sfiorano, si parlano, sorridono teneramente nell’attesa trepidante della nascita del loro bambino:

Tacevano anche Maria e Giuseppe. Vicini, vicinissimi, anzi, avevano le mani protese l’uno verso l’altra. Era, il loro, un gesto di protezione riservato al bambino; ma il bambino doveva essere stato sistemato da un’altra parte e le loro mani, perciò, sembravano cercarsi con timidezza e audacia insieme. Di tanto in tanto, per qualche irregolarità della strada il furgoncino che portava le scatole con i pupi al luogo dell’esposizione sobbalzava; allora le mani protese di Maria e di Giuseppe si sfioravano, si toccavano talvolta, e un brivido sembrava percorrere i loro corpi (p. 58).

Una vena malinconica circola infine in alcuni pezzi della raccolta, come Lassù che allude alla morte improvvisa di un puparo il quale sale in ascensore fino in cielo. Qui ritrova le sue creature rimaste incompiute che gli tengono compagnia, ma non la moglie che proprio quell’anno egli aveva pensato di raffigurare come una «bella pupa» tra i personaggi del presepe.

Una commozione controllata,  rattenuta, caratterizza invece gli ultimi racconti, L’albero cantava e L’importuno,  nei quali emerge il «prodigio» che il Natale schiude a chi riesce a conservare ancora la capacità di abbandonarsi a questa bella «favola». Nel primo, infatti, all’improvviso, il protagonista, che prepara da solo il presepe,  ascolta un canto che investe la stanza immersa in una luce abbagliante dove tutto si anima come per magia:

Era fruscio di foglie nel vento, lenta neve che cade da un cielo silenzioso; era suono d’acque ruscellanti lungo il loro corso, era dolente belato di greggi spersi nella vastità dei pascoli, erano tante voci che ne facevano una sola, che aveva un tratto umano ma si fondeva con  le altre: era lamento di bambini, pianto di madri, grido di gioia, inno di vittoria, tutto quello che la natura e l’uomo esprimono nell’onda della musica pareva passare in quella musica dolce e terribile il cui segreto era un messaggio di morte e di resurrezione… E tutto l’albero cantava, e tutto era una promessa di felicità (p. 73).

 Sono i segnali misteriosi della presenza di una persona cara, ormai scomparsa, che questo giorno speciale riesce in tal modo a riunire accanto a lui, confortando almeno in parte il suo dolore.

Anche in L’importuno emerge una ‘strana’ presenza, un’ombra, forse di un fanciullo, che all’inizio sembra perseguitare per la strada il protagonista, che narra in prima persona, con un rumore di passi alle sue spalle, in una angosciante vigilia, in cui si diffondono voci di una imminente fine del mondo. All’inizio l’io narrante gli chiede inutilmente di rivelargli la sua identità:

Chi sei? La domanda s’andava dissolvendo nella sera, tra il luccichio di lama delle stelle che tentavano di gremire il blu notturno sopraffacendo l’inquinamento  luminoso che ne rendeva quasi impossibile la visione. Chi sei, tu che m’insegui? Chi sei tu, che non vedo ma sento alle calcagna come un antico rimorso, come un dolore rimasto e risorgente anche dopo che una ferita da lungo tempo s’è rimarginata?

Poi si rende conto che si tratta del suo bambino morto che gli ritorna insistentemente nella mente quella  notte e lo consola, permettendo anche a lui, chiuso nella sua solitudine, di vivere un Natale sereno: «La voce, ora accanto a lui, lo confortava. Dolcemente gli ripeteva: Domani sarà Natale anche per te».

Dopo la pubblicazione del volume, Scorrano ha scritto Una carezza per l’asinello, ancora inedito, che rientra nel fìlone ‘fantastico’ delle «storie». Qui, infatti, il bue e l’asino tornano a riflettere sulla vita e i comportamenti umani, e mentre il bue si atteggia a «filosofo», assumendo un atteggiamento di superiorità nei confronti dell’asino, quest’ultimo ricorda soprattutto il suo rapporto con Maria, con la quale aveva stretto «un’intesa profonda» sin da quando ella era fanciulla. Ma la Madonna, che col suo candore riusciva a leggere «nell’animo degli uomini come in quello delle bestie», non fa distinzione tra i due, sapendo che in fondo anche il bue era «buono e gentile», e dona ad entrambi una tenera carezza.

[In Virtute e conoscenza. Per le Nozze d’Oro di Luigi Scorrano con Madonna Sapientia, a cura di G. Caramuscio, Lecce, Edizioni Grifo, 2014]

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