Pandemia: civiltà dei consumi o civiltà dell’uomo

 di Cosimo Scarcella

In questi ultimi tempi, aggrediti e dominati dalla virulenta pandemia del Covid-19, che col suo variare repentino e imprevedibile sembra non lasciare facile scampo all’umanità dell’intero pianeta Terra, s’assiste quotidianamente  un po’ ovunque, ma soprattutto nei Paesi del Vecchio Continente  e, quindi, anche in Italia – attraverso i numerosi e vari mezzi di comunicazione – alla girandola di notizie che ci travolgono riguardo allo stato dell’infezione sanitaria e alle conseguenti criticità sociali causate dalla particolare congiuntura economico-finanziaria dei vari Stati. Ogni comunicazione si conclude sempre con un’analisi dettagliata dell’andamento epidemiologico, con un accorto commento alle statistiche sanitarie e con qualche azzardata previsione in campo economico-finanziario. Ma è su quest’ultimo aspetto, tuttavia, che s’appunta maggiormente l’attenzione generale dei responsabili dei governi delle nazioni, i quali indugiano con responsabile prudenza a offrire ai popoli un quadro della situazione certamente realistico, ma anche aperto a cauto ottimismo, onde attenuare i diffusi sentimenti di sfiducia e di paura. Con quest’atteggiamento, assolutamente comprensibile e apprezzabile, si  vela, comunque, quella che è la principale vera preoccupazione che agita il pensiero dei potenti del mondo: la dimensione economica delle nazioni è vissuta, di fatto, come il primo problema umano e sociale generato dalla crisi sanitaria e che deve essere affrontato con decisione e risolto con tempestività. La crisi sanitaria, quindi, genera la crisi economico-finanziaria, da cui derivano le situazioni problematiche dei consumi e delle produzioni e, di conseguenza, delle opportunità lavorative e occupazionali.

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