Andrea Donaera, Lei che non tocca mai terra. Un coro di voci che cantano d’amore

di Adele Errico

Milan Kundera sosteneva che i suoi personaggi non nascevano certo da un grembo materno e che la sua Tereza fosse nata dal brontolio di uno stomaco. Quel brontolio è l’elemento che scatena l’azione, il dettaglio che racchiude il più profondo significato della storia, il sintomo di una fame che anticipa un incontro che non sazia la pancia ma l’animo.   In Lei che non tocca mai terra, il secondo romanzo di Andrea Donaera, Miriam nasce da un sonno: è addormentata perché è in coma. Il sonno di Miriam ha la stessa funzione del brontolio del ventre di Tereza: è la scintilla che provoca l’incendio. E anche Andrea – e tutti gli altri personaggi – nascono dal suo sonno perché è il suo coma a infondere negli altri la voce e senza di lei e senza il suo dormire tutto l’universo di questo romanzo non esisterebbe e tutte le figure che le ruotano intorno comincerebbero a scomparire, a dissolversi a una a una attorno al suo letto. Miriam è il centro dal quale si diramano gli altri personaggi, il filo che li tiene legati. In questo romanzo corale, infatti, ogni personaggio sembra staccato dagli altri, sembra avere vita propria, sembra dotato di una propria autonomia e relegato nel proprio isolamento. Ognuno nella propria torre, ognuno nella propria gabbia dalla quale uscirà solo per recarsi al letto di Miriam per parlarle e prendere parte ad un vortice di voci che si alternano e poi si incontrano e si scontrano per costituire un coro dissonante in cui le uniche voci che si fondono veramente sono quelle di Miriam e Andrea: Andrea è seduto accanto a lei, al suo corpo immobile e le parla. La sua è una parola che Bachtin definirebbe “bivoca”, “parola a due voci”, che ha, dunque, natura dialogica e duplice direzionalità: nasce, all’interno del dialogo, come replica viva. La parola bivoca ha la funzione di evocare e si prepara a una possibile risposta che prende forma nell’immaginazione dell’enunciatore. E infatti Andrea è il solo a dialogare con Miriam, a ottenere delle risposte, risposte possibili, risposte plausibili, di una Miriam che forse è quella da lui sognata, da lui pensata, che ha preso forma nella sua mente a seguito di quel primo incontro, di quel primo appuntamento al termine del quale il numero di Andrea sarà memorizzato sul cellulare di Miriam sotto il nome di “Andrea o Andrea”, risultato di un curioso anagramma ma che, poi, forse, suggerisce qualcosa di più. Come se esistesse un Andrea prima di Miriam e un Andrea dopo Miriam, un Andrea prima dell’amore e un Andrea dopo l’amore. “E l’amore ti spezza. Tu sei intero e poi ti apri in due” scriveva Philip Roth nel romanzo L’animale morente, cercando di sfatare il mito della platonica unione delle anime.

Questa voce è stata pubblicata in Recensione e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *