Di mestiere faccio il linguista 12. Come la pandemia influisce sulla lingua

di Rosario Coluccia

Ogni anno alcuni dizionari (assecondati dai media) si cimentano con quello che sembra un giochino ma è in realtà fenomeno rappresentativo delle tendenze in atto nella società. Si tratta di individuare la parola dell’anno, scegliendo quella che più di ogni altra può essere assunta a simbolo degli eventi che, negli ultimi dodici mesi,  hanno inciso sulla vita di milioni di individui. La scelta naturalmente non vede tutti concordi, ma alcune fonti hanno particolare autorevolezza. Particolarmente autorevole è l’Oxford English Dictionary (in sigla OED), monumentale dizionario storico della lingua inglese, antica e moderna, pubblicato dalla casa editrice Oxford University Press. Il dizionario descrive lo sviluppo e lo stato della lingua inglese offrendo ai lettori informazioni sull’uso e sulle variazioni di essa nel tempo. La versione online, disponibile dal 2000, è consultata in media da oltre due milioni di lettori al mese ed è continuamente aggiornata. Specchio formidabile della lingua inglese, testimonia i movimenti in atto della società che si riflettono nella lingua.  Ad ogni nuova edizione si aggiungono (o si tolgono) parole, intere espressioni, sottoentrate, significati,  si introducono revisìoni, come è necessario per ogni lingua viva.

L’OED seleziona accuratamente le diverse possibili parole dell’anno, senza pregiudizi di nessun tipo. La parola più rappresentativa del 2015 fu individuata in un’emoij, “la faccina che ride fino alle lacrime”, ampiamente usata da tutti gli utenti di smartphone e chat online come WhatsApp, che quella volta ha prevalso su concorrenti del calibro di «refugee» ‘profugo, rifugiato’ e di «Brexit». Preferendo un pittogramma rispetto a una parola tradizionale l’OED indicava ciò che rifletteva l’ethos e l’umore di quell’anno e nello stesso tempo segnalava l’enorme sviluppo che nella società aveva assunto la comunicazione digitale rispetto a quella orale e scritta tradizionale. Nel 2020, il primo dei terribili anni di pandemia che ancora ci funestano, ai ricercatori parve impossibile trovare un’unica parola dell’anno, caratterizzato da una crisi sanitaria globale e da una serie di nuove abitudini, paure e prospettive incerte. Decine di nuove parole sono entrate nell’uso quotidiano. Per quanto ci riguarda, abbiamo familiarizzato con termini italiani come “pandemia”, “quarantena”, “coronavirus”, e con l’anglicismo “lockdown” (anche se avevamo a disposizione “confinamento”, parola chiarissima ma trascurata per l’inveterata abitudine di ricorrere a parole straniere). Parole tutte fin troppo note, nessuna in grado di prevalere sulle altre. «Il 2020 è un anno terribile e inaspettato, che non può essere racchiuso in una sola parola», hanno concluso lapidariamente i lessicografi inglesi. Può valere anche per noi.

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