La terza guerra mondiale

In realtà, il fronte non è più una linea, ma il mondo intero, alcuni luoghi sono più colpiti altri meno, ma nessuno può dirsi esente da un possibile coinvolgimento. Lo sanno i genitori di Valeria Solesin, la ragazza veneziana che si divertiva al Bataclan. Il capitalismo come forma economica classica non esiste più, esiste il capitalismo di guerra, a cui tutti partecipano. La guerra è diventato un aspetto costante del capitalismo globale, una sua ragione vitale. La macchina da guerra del capitalismo, nella sua forma più avanzata, è a pieno regime non solo grazie alle energie che mette in campo per la produzione di un gigantesco – sempre rinnovato e sempre più sofisticato – apparato bellico, ma anche grazie alle immani distruzioni che essa provoca e che essa stessa provvede o provvederà a sanare attraverso una continua opera di ricostruzione di quanto viene via via distruggendo. Senza accorgercene (ma è poi vero?), noi viviamo in un’economia di guerra, che impegna ingentissime risorse per tenere in piedi un enorme apparato di sicurezza finalizzato ad allontanare dall’uscio delle nostre case gli effetti più clamorosi della guerra in corso. Fino a quando? Sempre più rimaniamo confinati nelle nostre case: dal promontorio della Palascìa, nelle belle giornate di tramontana, vediamo le montagne dell’Albania, ma è sconsigliato andarci; e così pure è meglio non azzardarsi a visitare il Museo del Pardo o a passare una vacanza a Sharm el Sheikh o programmare un viaggio sul Nilo. Rimaniamo in casa, meglio vedere la guerra alla TV. E intanto sfrecciano rombando, nei cieli della nostra città, gli aerei che insegnano la guerra ai futuri piloti…

[“Il Galatino” a. XLIX n. 2 del 29 gennaio 2016, p. 4, poi in Quel che posso dire, Edit Santoro, Galatina 2016, pp. 27-30]

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