Commento al nono componimento di )e pagine del travaso di Claudia Ruggeri

La strofe successiva si apre con un altro richiamo sessuale collegato alla citazione del Cantico («il foro»), ma che in realtà fa riferimento a un luogo fisico realmente esistente, cioè la Sacra Roccia di San Vito a Calimera, un monolite con un foro al centro («il foro s’è implicato ne la roccia»), meta di visite nel giorno successivo a Pasqua, quando le persone lo attraversano come augurio di fertilità. La conferma che si tratti di questa località è data da una lettera, conservata nel Fondo «Claudia Ruggeri»,[3] indirizzata con buona probabilità a Francesco Tripodi,[4] in cui la poetessa ricorda il giorno in cui si era recata proprio Calimera; inoltre il capitolo dodicesimo del libro Il barone e Caterina[5] di Tripodi è intitolato La pietra di Calimera, ovvio riferimento alla Sacra Roccia di San Vito.

La poetessa si rivolge con un’invocazione ad un «tu» da identificare con l’uomo dei primi versi, un uomo giunto a un «disanimale limine», un varco, come il megalite salentino, che ha «fatto rovente / la voce dei vulcani». È questa un’altra allusione erotica che simboleggia la fertilità, fortemente collegata all’immagine della terra che rappresenta ancora una volta il genere femminile, la possibilità, racchiusa nell’emblema della Grande Madre, di dare origine alla vita, culto cui si rifà il rito di passaggio nel «foro» di Calimera. Dal punto di vista geologico, il vulcano è costituito da una struttura interna alla crosta terrestre, dove si trova il magma in movimento («Movimento / interreno») che risale per fuoriuscire dal cratere, altro orfizio cui si accenna nel componimento.

Tutto ciò è ambientato nel «giorno del Movimento / interreno», «il giorno del Materiale / immite vento», un altro dei rizomata (acqua, terra, fuoco e aria), fondamentali nella Vecchia Religione della stregoneria, che assieme al fuoco rappresentano gli elementi maschili: fuoco e vento sembrano così essere visti come i fecondatori del principio femminile per eccellenza che è la terra. Fuoco e vento sono anche i simboli sotto cui si cela, nella Bibbia, lo Spirito Santo, come si legge in Atti 2:2, quando cinquanta giorni dopo la risurrezione di Gesù, gli apostoli sentirono un suono come di «vento impetuoso» e videro delle «lingue come di fuoco» posarsi sui loro capi.

È così che la Ruggeri fonde, come spesso accade nella sua poesia, il sacro con il profano e si sente ispirata,[6] ispirata dalla sua storia d’amore come gli apostoli illuminati dallo spirito santo, ricordando l’atteggiamento del profeta dell’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse. Come si legge nella strofe successiva, aperta da una parentesi tonda, la sua storia d’amore le suggerisce una scrittura doverosa e urgente, come Giovanni cui una voce ordina di scrivere ciò che ha visto e di scriverlo in un «rotolo» (Apocalisse, 1:11). La poetessa, infatti, questa volta non scriverà una «cronaca» (un semplice racconto dei fatti; il termine ricorda anche i due libri veterotestamentari delle Cronache) né un «cantico» (che ovviamente richiama il citato Shir hashirim), né baderà alla «mensura», al livello metrico-ritmico dei suoi versi. La Ruggeri deve scrivere «parole-Rotolo», una storia che rimanga nel tempo, a cui credere, che si imponga come Verità che racchiude l’unione carnale («corpo a corpo») dei due amanti, «fiori» che germogliano in una «terra», definita «astratta», ideale come la dimensione del ricordo che ridà vita a questa vicenda accaduta in passato. 

In tale dimensione si approda proprio nell’ultima strofe, in cui si è catapultati nel pensiero della poetessa che scrive «senza il sonoro», senza pensare all’esecuzione orale del suo componimento, tutta concentrata solo a registrare su carta la sua esperienza, e che con la mano sinistra gira il bastone di legno, srotolando il papiro. Al v. 19 si viene a sapere che qualcuno, cui l’io lirico si rivolge direttamente, è intento, «man mano» procede nella lettura dei testi, a ripensare a quello che ha vissuto assieme alla poetessa e subito dopo la Ruggeri dice di aver deciso di annidarsi «nel lievissimo plesso della ipsylon»: si stabilisce in un luogo che non rappresenta nulla di fisico e reale.

In matematica si ricorre alla «y» per indicare un’incognita e nell’esoterismo questa lettera rappresenta proprio l’elevazione che solo la conoscenza può dare e spesso viene associata alla vita dopo la morte e in particolare alla risurrezione di Cristo. Nel componimento, come si è visto, si fa riferimento a un rito da compiere il giorno del lunedì dell’Angelo, giornata in cui si ricorda l’apparizione di un angelo che rassicura le donne andate al sepolcro di Gesù, trovato aperto, spiegando loro la risurrezione di Cristo. Dunque, la «y» potrebbe assumere proprio questo significato e il masso spostato che lascia libero il sepolcro può aggiungersi alla lista dei «fori» cui in tutto il testo si allude.[7]

La Ruggeri, pertanto, chiude la poesia dichiarando di ritirarsi in se stessa per dedicarsi totalmente ad una Conoscenza superiore, un volo della mente che possa trascendere i limiti umani, in una forma di Verità che forse solo l’anima, il giorno in cui sarà liberata dal peso del corpo, potrà raggiungere.


[1] Componimento e commento editi, tratti da: C. Ruggeri, Poesie. inferno minore. )e pagine del travaso, a cura di Annalucia Cudazzo, Fogli di Via I, Neviano, Musicaos, 2018, p. 55 e pp. 161-164.

[2] Si tratta di )e pagine del travaso, seconda opera di Claudia Ruggeri, completata nel 1996.

[3] C. Ruggeri, Minuta, s. d., in Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti». Gabinetto G. P. Vieusseux, Firenze, Fondo «Claudia Ruggeri».

[4] Amico di Claudia Ruggeri, cui spesso si allude nei componimenti dell’opera e verso il quale la poetessa nutriva un particolare affetto.

[5] F. Tripodi, Il barone e Caterina, Milano, Signorelli, 1994.

[6] È proprio il particolare rapporto fra sacro e profano che nel Cantico dei Cantici si scontrano fino a coincidere che attrae Claudia Ruggeri e la porta ad apprezzare il libro veterotestamentario che definisce «epica della masturbazione-delirio oltre che dell’amore carnale che sta al centro di un libro che parla di “dio”» (Cfr. C. Ruggeri, Minuta a Luisa Elia, s. d., in Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti». Gabinetto G. P. Vieusseux, Firenze, Fondo «Claudia Ruggeri».

[7] Il foro è anche uno dei tanti simboli, nella Ruggeri, del vuoto. Si ricordi che l’horror vacui è il tema centrale di tutta la produzione poetica di Claudia Ruggeri a partire dal testo di apertura della sua prima opera inferno minore, il cui significativo titolo è il Matto I (del buco in figura) / Beatrice.

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