Due “riformatori” del XX secolo: papa Montini e Jacques Maritain

di Cosimo Scarcella

Il 19 ottobre 2014 era domenica: in piazza san Pietro una marea di folla fissava per ore intere la gigantografia d’un papa non molto noto ai più, perché (forse) tanto in vita che dopo la morte era rimasto sempre schivo e poco propenso ad apparire. Scetticismo e contentezza s’alternavano e si susseguivano nell’apprendere che papa Montini (1897-1978), uomo di chiara fama e di profonda cultura, veniva riconosciuto anche dalla chiesa cattolica romana – da lui guidata con costante prudenza anche durante gli “anni di piombo” – degno di venerazione per le sue virtù eroiche: spesso incompreso e talora dimenticato, veniva ora riscoperto fino a consacrarlo agli onori degli altari.

Montini percorse tutte le tappe nella vita ecclesiastica fino ad accettare il gravoso “servizio pontificale”; mantenne costantemente ferrea fedeltà ai suoi doveri pastorali e intatta coerenza ai dettami della sua coscienza. Anche da papa rimase ‘nel mondo’, ne esaminò i problemi, prodigandosi generosamente per la loro migliore soluzione; ne condivise le angosce, spendendosi ad alleviarle. Seppe riconoscere, stimare e frequentare anche “laici” saggi, onesti e anch’essi servitori degli uomini: basti ricordare, per esempio, l’amicizia con Aldo Moro (1916-1978) e la frequentazione di Jacques Maritain (1882-1973). Questo pensatore, addirittura, quindici anni più anziano, lo ispirò sempre soprattutto per la sua rivendicazione della ”integralità” dell’uomo, cioè della persona umana, che deve occupare la centralità d’ogni pensiero e d’ogni azione, essendo essa fondamento e fine del bene comune autentico. Non a caso, alla chiusura del Concilio Vaticano II, il papa Montini consegnò simbolicamente proprio al filosofo Maritain il messaggio indirizzato “agli uomini di scienza e del pensiero”, riconoscendolo così degno rappresentante degli intellettuali.

L’8 dicembre 1965, infatti, papa Paolo VI chiudeva il Concilio Vaticano II; il successivo 31 dicembre il filosofo Maritain poneva fine a “Il contadino della Garonna”, in cui esternava la sua esultanza, annunciando: “E’ stata ora proclamata la libertà religiosa. Ciò che così si chiama non è la libertà che io avrei di credere o di non credere secondo le mie disposizioni del momento e di crearmi arbitrariamente un idolo, come se non avessi un dovere primordiale verso la Verità. E’ la libertà che ogni persona umana ha, di fronte allo Stato o qualsiasi altro potere temporale, di vigilare sul proprio destino eterno, cercando la verità con tutta l’anima e conformandosi ad essa quale la conosce, e di ubbidire secondo la propria coscienza. La mia coscienza non è infallibile, ma io non ho mai il diritto di agire contro di essa”.

Questa voce è stata pubblicata in Filosofia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *