Luigi Pirandello e la «Rivista d’Italia» (1918-1920) (Parte prima)

di Antonio Lucio Giannone

Verso la fine del 1917 la «Rivista d’Italia» venne acquisita dall’avvocato e giornalista  bresciano Gian Luca Zanetti che ne trasferì la sede da Roma a Milano e ne divenne anche  il direttore  insieme ad Adolfo Omodeo.  Redattore unico del periodico fu nominato lo scrittore Michele Saponaro che già collaborava al quotidiano milanese «La Sera», di cui Zanetti, da quello stesso anno, era diventato direttore e comproprietario  insieme a Edgardo Longoni[1]. Sia «La Sera» che la «Rivista d’Italia» finirono poi sotto il controllo della Società Editrice Unitas, fondata sempre da Zanetti[2].

Derivata dalla fusione di due altri periodici di fine Ottocento, «La Vita italiana» e «L’Italia», la  «Rivista d’Italia» era stata fondata nel 1898 a Roma da Domenico Gnoli, che la diresse per due anni,  sul modello della gloriosa «Nuova Antologia»,  attiva fin dal 1866. Anche in questo caso, infatti, si trattava di una rivista di cultura generale, a periodicità mensile, che alternava, a studi e articoli di vario argomento, testi creativi, in versi e in prosa, fornendo inoltre un’informazione in diversi campi del sapere attraverso numerose rassegne.

Nel gennaio del 1900, la direzione passò, per due anni esatti, a Giuseppe Chiarini,  mentre  nel 1902 la Società Dante Alighieri, che aveva edito il periodico fino ad allora, cedette la proprietà della rivista ad Augusto Jaccarino, il quale la diresse insieme a Chiarini fino all’aprile del 1903 e da solo fino al 1917, dandole un’impronta di maggiore attualità. Per la «Rivista d’Italia» cominciò però da allora un periodo di decadenza: i vecchi collaboratori si allontanarono, la parte informativa  si ridusse di molto, i testi letterari scomparvero del tutto[3].

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