Leccesità di Lino Paolo Suppressa

di Antonio Lucio Giannone

Lino Paolo Suppressa è stato uno dei rappresentanti  più noti della pittura pugliese del Novecento, della quale contribuì a rinnovare il linguaggio allineandolo a quello nazionale. Ma egli  è stato anche uno dei protagonisti della vita culturale leccese, alla quale prese parte attivamente, dai primi anni Quaranta fino agli Ottanta, collaborando, con disegni, note d’arte, recensioni di mostre e prose memoriali, alle principali riviste letterarie e ad alcuni periodici di quel periodo, da “Vedetta mediterranea” a “Libera Voce”, dal “Critone” al “Campo” all’“Albero”, dalla “Tribuna del Salento” fino al “Quotidiano”. Per questo ci sembra giusto ricordarlo in occasione della ricorrenza del centenario della nascita, avvenuta  a Lecce il 20 agosto 1915.

         Dopo aver abbandonato gli studi classici, Suppressa si iscrisse alla locale Scuola d’Arte, dove fu allievo di Geremia Re, e poi frequentò il Liceo artistico di Firenze. Nel 1945 tenne la sua prima personale nelle sale del negozio Lazzaretti di Lecce, presentato da Vittorio Bodini con cui strinse un importante sodalizio umano e intellettuale. A questi anni risale la fase espressionista della sua pittura, “tutta tesa – come scrisse Bodini – verso il grido, il gesto che consegni i contorcimenti dell’inconscio e il male di vivere che si occulta”. Non a caso, allora, i suoi riferimenti ideali  erano gli espressionisti tedeschi e i pittori della Scuola romana, in particolare Scipione.  

         Negli anni Cinquanta Suppressa si orienta verso un realismo che tiene presente la lezione postcubista, raggiungendo i risultati più alti della sua produzione per originalità e intensità d’ispirazione. In questo periodo egli mette al centro della sua immaginazione Lecce che diventa, proprio come per l’autore della Luna dei Borboni, un luogo dell’anima, perdendo qualsiasi connotazione bozzettistica  e assumendo invece una valenza universale. Diventa così il cantore appassionato della sua città, che incomincia ad esplorare da cima a fondo, in lungo e in largo, con intima adesione, con uno sguardo partecipe e affettuoso rivolto all’elemento umano, quasi alla ricerca della sua verità più nascosta, del suo segreto.

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