Vittorio Pagano, Poesie. Calligrafia astronautica, I privilegi del povero, Morte per mistero, Zoogrammi

Il saggio appena menzionato permette di accedere agevolmente all’universo poetico di Pagano, caratterizzato da una convinta adesione all’ermetismo (Giorgino parla di «resilienza ermetica») in un periodo storico in cui questo sembrava ormai destinato a declinare in favore delle emergenti istanze prima neorealiste e poi neoavanguardistiche. Eppure la poesia di Pagano non deriva da una partecipazione superficiale alla ‘scuola’ ermetica ma da una commistione di differenti elementi: se da un lato Pagano assorbì dalla letteratura francese medievale e dai poeti ‘maudits’ le strutture formali e parte del repertorio immaginifico, dall’altro seppe rinnovare questa tradizione, a cui lo legò per tutta la vita una fervente ammirazione (ne sono testimonianza le traduzioni, ad esempio, della Chanson de Roland, di Rutebeuf e Villon, oltre all’Antologia dei poeti maledetti del 1957). La calò nel proprio contesto di appartenenza e mai assunse anacronisticamente la posa di poeta ‘maledetto’, schivò inoltre ogni pericolo di epigonismo. Secondo Giorgino, sono questi i tratti costitutivi di una «doppia ‘cittadinanza’ letteraria»: quella meridionale, rintracciabile nella costante «vertigine barocca» di cui è permeato lo stile del poeta, e quella francese, per i motivi già accennati (cfr. Ivi, p. XXIII).

Le prime poesie di Vittorio Pagano apparvero sul settimanale leccese «Vedetta Mediterranea», la cui terza pagina era curata da Vittorio Bodini e Oreste Macrì; con quest’ultimo Pagano instaura una fitta corrispondenza epistolare che prosegue fino agli ultimi anni della sua vita, alternando discussioni di natura squisitamente letteraria ad aspri sfoghi e accuse nei confronti di un sistema culturale da cui si sentiva costituzionalmente escluso e che fu causa di pesanti frustrazioni. Nel 1946 Pagano, che visse sempre a Lecce, diviene responsabile della terza pagina di «Libera Voce», entrando in contatto con personaggi di rilievo come Luciano Anceschi, Attilio Bertolucci, Carlo Bo, Giorgio Caproni, Mario Luzi e Giuseppe Ungaretti, che ai tempi figuravano come collaboratori del periodico. A quest’esperienza seguirà quella nell’«Albero» di Comi, che termina nel 1956, stesso anno in cui assume il ruolo di responsabile del supplemento letterario della rivista giuridica «Il Critone»; il nuovo incarico editoriale gli permetterà di pubblicare di volta in volta le sue opere all’interno della collana della rivista, i «Quaderni del Critone», che ospiterà anche altri poeti come Alfonso Gatto e Mario Luzi rispettivamente con La madre e la morte (1959) e Trame (1963).

Nonostante i riconoscimenti nel campo dell’editoria poetica, che gli valsero la medaglia d’oro da parte del comune di Firenze nel 1961, il Pagano poeta stentava ancora ad affermarsi: nel caso dell’esordio di Calligrafia astronautica, se si eccettua una recensione di Caproni apparsa sulla «Fiera Letteraria», l’opera sarà del tutto ignorata dai critici e cadrà rapidamente nell’oblio, complice anche un sostegno poco energico da parte degli amici poeti di area fiorentina, tra cui Luzi, Betocchi e Fallacara, che espressero pareri entusiastici esclusivamente in occasione di corrispondenze private; stessa sorte toccherà all’opera successiva, I privilegi del povero, che nei decenni a venire sarà oggetto di giudizi negativi per una spiccata tendenza al manierismo e alla monotonia dello stile (cfr. ivi, p. XLII). Pagano dimostra di non farsi frenare dal silenzio della critica, e nel poema Morte per mistero si cimenta in un’opera ancora più ardua, rinunciando alle forme liriche chiuse e passando in rassegna un ampio ventaglio di argomenti (miti, leggende, eventi storici, vicende biografiche) che convergono sul tema della morte; è una parola poetica, secondo Giorgino, «ormai liberata in tutta la sua potenzialità musicale e disponibile alle insidie dell’obscurisme se non addirittura al rischio di un ludico nonsense» (ivi, p. XLIII). Alla pubblicazione dell’ultima raccolta Zoogrammi segue due anni dopo, nel 1966, la chiusura de «Il Critone», la rivista attorno alla quale Pagano aveva organizzato la sua fervente attività culturale; da questo momento si abbatte sul poeta un’indifferenza totale della critica che si prolunga al 1979, anno della sua scomparsa e punto d’inizio di una lenta e progressiva rivalutazione, però, mai culminata in una ristampa organica dell’opera poetica almeno fino a oggi, in strenua opposizione a quella damnatio memoriae che Vittorio Pagano, col suo piglio ironico e polemico, aveva profetizzato per sé.

[“Oblio” IX, 36, 2019]

Questa voce è stata pubblicata in Letteratura, Recensione e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *