Segnalazioni bibliografiche III

Una passeggiata nel Basso Salento. Giancarlo Vallone pubblica nell’ultimo numero di “Studi storici” (2/2008, pp. 405-454), Rivista trimestrale dell’Istituto Gramsci (Carocci Editore, Roma), un’accurata ricerca dal titolo Terra, feudo, castello, nella quale, riprendendo e approfondendo temi già presenti nelle Istituzioni feudali dell’Italia meridionale tra Medioevo ed Antico regime. L’aerea salentina (Roma, Viella, 1999), analizza “l’intima relazione, spinta fino all’identità, tra territorio e potere” (p. 405) nella sola area del Salento meridionale o leccese a partire dall’età normanna, quando cioè i Normanni cominciano a tessere una rete feudale (dal 1070 circa). Lo studio è molto utile per chi voglia apprendere cosa siano le universitates, i casali, i castra demaniali e feudali,  quali rapporti intercorrano tra territorium e terra feudale, quali tra terra e castrum e tra feudum e castrum e castellum, e seguire poi la trasformazione del castrum in palatium a partire da quell’epicentro cronologico che va dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento. Una lettura di questo tipo consente infine di fare una passeggiata nel Basso Salento con occhi nuovi, in grado di scrutare, dietro le discariche abusive, gli effetti devastanti della speculazione edilizia e il traffico orribile di paesi e città, non solo quanto resta di antichi manieri, ma anche le forme antiche del potere esercitato dagli uomini sugli uomini in questo territorio.

La famiglia Imperiale. Pubblicato un volume ricchissimo di fotografie dal titolo Gli Imperiale in Terra d’Otranto. Architettura e trasformazioni urbane a Manduria, Francavilla Fontana e Oria tra XVI e XVIII secolo, Congedo Editore, Galatina 2008, pp. XVI-165, edito col n. 6 della Collana Architettura e Città diretta da Vincenzo Cazzato, che firma la Presentazione. Questo libro ha come destinatari non soltanto gli specialisti, ma anche il pubblico vasto dei lettori amanti di storia locale, e ha il merito di consigliarci una gita fuori porta molto istruttiva. Esso ci conduce, difatti, nelle città di Francavilla e Oria (provincia di Brindisi) e di Manduria (provincia di Taranto), che un tempo gli Imperiale amministrarono come un unico feudo. E si trattò indubbiamente, a quanto si evince da questo studio, di amministratori illuminati e di mecenati attenti tanto allo sviluppo dell’assetto urbanistico delle tre città quanto alla valorizzazione del territorio rurale circostante.

Certo, oggi il territorio rurale è molto cambiato, il latifondo ha subito notevoli trasformazioni e così pure i centri cittadini sono stati modificati da due secoli e più di interventi umani successivi al dominio degli Imperiale. Ma nella gita fuori porta che consigliamo, il lettore non potrà mancare di visitare il palazzo Imperiale di Manduria, il castello di Francavilla, e poi i non pochi conventi e chiese di queste città eretti dai vari ordini religiosi, Agostiniani, Domenicani, Francescani e Scolopi, attratti dalla munificenza degli Imperiale. Il potere politico e quello religioso, il trono e l’altare, secondo il modello consolidato dell’Ancien Régime, trovano nell’edilizia profana e sacra del regno degli Imperiale una esemplificazione molto significativa di una civiltà ormai da tempo tramontata, della quale, in questo tipo di pubblicazione si avverte sempre una certa malcelata nostalgia.

Islàm. Nella collana Pontos dell’Istituto di Culture mediterranee della Provincia di Lecce, fondata e diretta da Gino Pisanò, col numero VI, è stato pubblicato il massiccio volume di Roberto Muci, L’Italia e l’Islam con sottotitoli: Profilo storico e teologico. Possibilità di dialogo interreligioso. Problematiche dei flussi migratori, Presentazione di Maria Rosaria De Lumé, Prefazione di Gino Pisanò, Galatina, Congedo Editore 2009, pp. 429.

Il volume è diviso in tre parti: nella prima, intitolata Necessità di conoscere l’Islam (pp. 23-114), l’autore racconta l’aspetto storico e teologico dell’Islam, nella convinzione che la conoscenza reciproca sia il primo passo verso la fine di ogni spirito di contrapposizione: “Il rapporto tra culture – scrive Muci nell’Introduzione – richiede in primo luogo la conoscenza perché più conosciamo, più si va oltre la contrapposizione intellettualmente povera e umanamente pericolosa; ma la conoscenza da sola non basta” (p. 20). Di qui, la seconda parte del libro, Possibilità di dialogo tra Cristianesimo e Islam (pp. 115-234), nella quale l’autore individua l’unica chance di superare le reciproche incomprensioni: il dialogo interreligioso. Muci ripercorre i rapporti tra le due religioni monoteistiche a partire dal Medioevo fino ai nostri giorni, fino a quella svolta epocale costituita dal Concilio Vaticano II, nel quale per la prima volta, in coincidenza con il processo di decolonizzazione, Giovanni XXIII dà espressione all’esigenza di dialogo interreligioso. “Fino a qualche decennio prima, la constatazione che due terzi della popolazione mondiale professavano religioni non cristiane non intaccava la coscienza di un mondo cristiano, che considerava le culture del mondo coloniale inferiori e irrimediabilmente destinate a scomparire” (p. 188). Da quel tempo data, dunque, l’avvio di un dialogo tra le tre religioni monoteiste: cristianesimo, ebraismo e islamismo; dialogo che si è venuto via via intensificando con Paolo VI e con Giovanni Paolo II, il papa viaggiatore, per il quale valeva lo spirito di Assisi, così riassumibile: “riunire i credenti ponendo l’accento sulla preghiera per la pace” (p. 212); fino al papa Benedetto XVI, che, in continuità col suo predecessore, rinnova la volontà della Chiesa di mantenere sempre aperto il dialogo tra le religioni. Da questo punto di vista, il libro di Muci si segnala perché fa il punto sull’attuale indirizzo della Chiesa cattolica relativo ai rapporti con le altre religioni monoteistiche, ed in particolare con l’Islam. La dottrina cattolica appare stretta tra la necessità del dialogo con l’Islam (come non dialogare con i circa 24 milioni di islamici che vivono in Europa?) e volontà missionaria ed evangelizzatrice, che mal dissimula il suo intendimento egemonico in Europa ed altrove. Nella terza parte del libro, Aspetti socioculturali dell’Islam e presenza in Italia (pp. 235-408), Muci analizza il mondo islamico dal punto di vista socio-economico, e passa in rassegna le problematiche legate alla condizione di straniero dell’islamico immigrati,  ai flussi migratori, alle condizioni giuridiche e allo status delle comunità islamiche. Si tratta di un nodo di problemi difficile da sciogliere, che Muci districa sempre a partire da “quel polo orientativo…. rappresentato dalla fede cristiana” (p. 10), come scrive Pisanò nella citata Prefazione. Muci oppone al neoliberismo imperante, che tutto riduce all’utile, l’etica della giustizia sociale, come quando affronta in questi termini il tema del terrorismo: “Nessun sistema di armamenti, nessuna strategia militare può fermare gli attacchi terroristici a cui si continua ad assistere. Nessuna strategia offensiva né difensiva risolverà il problema del terrorismo. L’unica soluzione sta nella giustizia sociale” (p. 269). Come realizzarla? Si sa, la fede muove le montagne, ma, in concreto, che fare? Muci non lo dice, limitandosi ad auspicare una “società che include le differenze… dove tutti si riconoscono uguali, ma, nello stesso tempo diversi per tradizioni, usi e costumi, insomma per cultura” (p. 324). A questo fine è essenziale il dialogo, il riconoscimento dell’altro, del suo punto di vista (viene citato Gadamer, p. 321). Al multiculturalismo, cioè alla coesistenza tra le culture, impraticabile secondo Muci, l’autore oppone la società interculturale come unica “prospettiva da perseguire” (p. 348), nella convinzione che “il problema non è più quello del mantenimento delle culture, quanto quello della loro evoluzione” (p. 349). Purché sia ben guidato, s’intende! Ed infatti, un ruolo di primo piano viene affidato alla scuola cattolica: “La scuola cattolica … non rinuncia al suo modello educativo globale, cioè all’educazione cristiana. L’approccio alla figura di Gesù non va sottaciuta o accantonata. Tuttavia, occorre insegnare a tutti il rispetto della religione altrui…” (p. 372); e alla scuola in generale, “che resta la via migliore per conoscere l’altro…” (p. 413), scrive Muci in Conclusione, confermando l’assunto principale del libro, ovvero la necessità di una “conversione etica”, “la conversione all’ospitalità” (p. 412). E in questo afflato moralistico, che conta su una coscienza religiosa e un senso di responsabilità individuali e collettivi di là da venire, è il senso della ricerca di Roberto Muci.

Gastronomia salentina. Dopo il fortunatissimo Odori, sapori, colori della cucina salentina in 629 ricette di ieri e di oggi, accompagnato da una bella Introduzione di Mario Marti intitolata Gastronomia subalterna salentina sul filo della memoria (Mario Congedo Editore, Galatina 1997), Lucia Lazari arricchisce la biblioteca della massaia salentina (e non solo) con Signori a tavola. Il Salento in 101 menu e 1100 ricette, pubblicato nel dicembre 2008 da Mario Congedo Editore. Si tratta di un volume ponderoso, di 415 pagine, ricchissimo di fotografie, presentato da Nicola Sbisà, coordinatore regionale per la Puglia dell’Accademia Italiana della Cucina, e accompagnato da due studi: il primo, di Angela Carola Perrotti, dal titolo Serviti da tavola e “Dessert” in porcellana alla corte dei Borbone di Napoli; il secondo, di Fausta Vacca Giovannini, dal titolo L’arte culinaria del Regno di Napoli. Lucia Lazari ha convocato numerosi amici ed amiche, che le hanno suggerito 101 menu attingendo alla tradizione familiare e all’esperienza maturata nelle grandi occasioni: matrimoni, festeggiamenti vari, pranzi con ospiti di riguardo, ecc. Ogni menu è dettagliatamente descritto, sicché chiunque nella propria cucina può provarsi a riprodurre sapori d’altri tempi, ritenuti esclusivi di poche famiglie aristocratiche. Chi mi potrebbe vietare, per un giorno o anche per due, di preparare per me e i miei familiari una colazione (se ne parla nella prima sezione del volume dal titolo Dalla cronaca e dalla storia) come quella offerta al principe Umberto di Savoia dal senatore Vincenzo Tamborino in occasione dell’inaugurazione del monumento dei Caduti, Otranto, 3 dicembre 1922, secondo la ricostruzione che ne danno i Signori Fernado Cezzi e Giuliana Cezzi Mele (“Consumato all’italiana / Galantina di cappone / Filetti di pesce con tartufi / Sfogliatine con caccia / Lombata di vitello con crescione / Gelato nazionale / Frutta / Dolce e rosolio / accompagnando il tutto con un Bianco secco malvasia del 1900, un Moscato 1890 e Champagne Moet & Chandon”)? Ho fatto solo un esempio, naturalmente, e potrei continuare col menu offerto da Mons. Michele Maria Caputi, vescovo di Ariano, a Ferdinando di Borbone nell’inverno 1859 (Emilia Caputi Vetere refert) o con quello offerto da Luigi De Secly, redattore e poi direttore della “Gazzetta del Mezzogiorno”, a Benedetto Croce (fornito dalla Signora Rossella Galante Arditi di Calstelvetere ecc. ecc. Il volume prosegue con altre quattro sezioni: 1) Dai quaderni di ricette di famiglia; 2) Tra tradizione e innovazione; 3) Della cucina tipica; 4) I menu delle feste; per chiudersi con un Indice generale delle ricette, di utile consultazione. Di sezione in sezione, lo schema ideativo e compositivo non cambia. Pertanto, non mi resta che concludere, augurando a tutti buon appetito!

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