Formazione universitaria per i Beni Archeologici del Salento. Nella prospettiva europea

In questa prospettiva, tuttavia, nuovi soggetti stanno emergendo in modo sempre più incisivo nello realtà della tutela e della valorizzazione che, a torto, si tende ad identificare soltanto nella organizzazione ministeriale, spesso burocratizzata ed inefficiente. E’ la realtà degli enti locali che, dando corpo al “principio della sussidiarietà”, si inseriscono in un sistema dello tutela che garantisce un reale radicamento nella complessità culturale che si esprime nei territori della nostra penisola.

Ma il fenomeno più straordinario ed innovativo di questi ultimi anni dipende dalla creazione delle Facoltà di Beni Culturali, a Lecce e quindi a Viterbo e Ravenna. Una Facoltà inizialmente osteggiata da una cultura italiana che affidava ai soli testi letterari ed alla storia dell’arte il compito di conservare e tramandare la memoria; una visione selettiva che di fatto considerava secondarie le testimonianze delle fonti archeologiche e territoriali. Così i percorsi formativi, dalla Laurea in Lettere alle Scuole di Specializzazione, portavano allo creazione di studiosi delle lingue classiche, destinati all’insegnamento del latino e del greco, che, una volta entrati nelle Soprintendenze, spesso non riuscivano a porsi in modo adeguato rispetto alla complessità dei problemi posti dalla tutela dei sistemi territoriali. La Facoltà di Beni Culturali e la Scuola di Specializzazione in Archeologia hanno come obiettivo primario la formazione di professionisti dei Beni Culturali in cui i tradizionali approcci filologici e storico-artistici si integrino con le tecnologie (informatiche e diagnostiche in primo luogo) e con le metodologie di indagine del territorio, dalla prospezione, allo scavo stratigrafico, alla catalogazione dei materiali, ai metodi per comunicare e far acquisire ad un più vasto pubblico lo conoscenza del patrimonio archeologico.

Oggi il Salento vive una vera rivoluzione in cui i vecchi strumenti e luoghi della conservazione appaiono inadeguati e bisognosi di una nuova organizzazione: protagonisti di questa rivoluzione sono i tanti giovani che escono dalla Facoltà di Beni Culturali. Presenti nei nostri comuni e nei territori, sono impegnati nell’attività di presidio e di sensibilizzazione, interagiscono con gli Enti locali, sono capaci di elaborare e di proporre progetti sui beni a archeologici, operano da professionisti nei cantieri e nei laboratori. Sono loro a dar corpo a quel “principio di sussidiarietà” che fa della tutela non una mera pratica burocratica, ma un impegno civile al fine di dare risposte operative alla domanda crescente di memoria che viene dalla società.

Ad Oria come ad Ugento, a Vaste, a Cavallino, sono loro che stanno cambiando la cultura del Salento. Ma non basta più ormai “la cultura della conservazione” di cui si è detto prima; è necessario collegarsi alle più avanzate esperienze europee in cui, intorno ai beni culturali, sta crescendo un’altra cultura, quella “della prevenzione e della gestione”. Testo base di questo modo, dinamico e non burocratico, di considerare il patrimonio archeologico è la Convenzione di Malta, approvata il 16.1.1992 a La Valletta e recepita dalla legislazione di vari Stati europei, ma non ancora in Italia. Nel documento europeo, il patrimonio archeologico è considerato come realtà collegata alle politiche di pianificazione territoriale e ambientale e indirizzata alla fruizione del pubblico ed alla diffusione delle informazioni scientifiche, quella che in Inghilterra è ormai la prassi della Public Archaeology.

Un filo diretto, facilitato anche dalle possibilità offerte dal Programma Socrates ai nostri allievi, collega ormai i giovani dell’Europa. L’università e le istituzioni locali e nazionali dovranno costruire le condizioni di gestione del patrimonio culturale, risorsa economica e non semplice merce, affinché il Salento possa cogliere a pieno le potenzialità che derivano dal profondo della sua storia e della sua cultura. Come è prassi in Francia, Olanda, Germania, bisognerà prevedere, nelle grandi opere di trasformazione del territorio, la indagine archeologica preventiva, inserendo nei progetti appositi capitoli di finanziamento. Oggi ciò si realizza grazie al personale impegno di Luigi Tondo, dell’unità operativa di Lecce (Soprintendenza archeologica della Puglia); il progetto Snam per la posa in opera della rete del metano è infatti seguito lungo il percorso da Gallipoli a Lecce dai giovani archeologi leccesi. Ma l’eccezione deve diventare prassi ordinaria. Così tutti i lavori di trasformazione urbana e i grandi progetti di restauro che si annunciano a Lecce e nel Salento dovranno prevedere le indagini archeologiche preventive e inserire nel Progetto le risorse necessarie. La legge sul barocco, il PIS sui monumenti di Lecce, saranno una grande occasione di conoscenza e di coinvolgimento dei giovani di Beni Culturali, come è avvenuto nelle esperienze recenti promosse dal Comune di Lecce in Piazzetta Castromediano e dall’Università nella futura sede del rettorato al convento dei Carmelitani (ex caserma Roasio).

La creazione dei due Parchi Archeologici di Cavallino e di Vaste – Poggiardo, in corso di realizzazione da parte dei comuni su progetto dell’Università e con finanziamento POR, offrirà opportunità nuove di occupazione per la gestione di queste strutture, attraverso società e cooperative giovanili. Perché tutto questo costituisca una massa critica adeguata, si dovrà pensare ad un Sistema Integrato dei Parchi Archeologici e dei Musei del Salento in cui il Museo Provinciale potrà svolgere un ruolo centrale solo se sarà in grado di ritrovare la vocazione originaria impressa dal suo fondatore, Sigismondo Castromediano.

Per gli studenti dei Beni Culturali si apre una formidabile opportunità per contribuire allo sviluppo del Salento costruendo una economia del turismo basata sulla complessità, cioè sulla qualità culturale, oltre gli stereotipi del consumo di massa che oggi si identificano in formule come: Lecce, città del barocco, oppure Otranto, borgo balneare con mosaico.

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