Un libro per l’estate 9. “Inviti superflui” di Dino Buzzati e il senso del ritorno

Giunge l’estate. I cuori si ritrovano a “contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne”. Guardano l’acqua che passa sotto un ponte di legno, tra “i segreti dei boschi”, intenti ad ascoltare le storie lontane, di voci, lontane che passano attraverso i “pali del telegrafo”.

Infine, è autunno. Quasi giunge al termine il racconto, così come giunge al termine il giorno sulle “vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo”. E i due cuori passeggeranno presi per mano tra viali di foglie rosse e gialle, gremiti di gente che si volta a guardarli “non per invidia e malanimo” ma con un sorriso suscitato da un sentimento di tenerezza.

Ma il “tu” a cui, in questo racconto – in questa vita vissuta e sofferta nell’arco di una pagina – si parla è, ormai troppo lontano. Si prova a rincorrerlo ma è difficile da raggiungere, perché fatto solo della sostanza dei ricordi, un “tu” indistinto (“- Ti ricordi? Ma tu non ricorderesti”) come fumo ricoperto di una patina scintillante.

L’amore di “Inviti superflui” è qualcosa di lontano e finito. Eppure, ancora, si dimena e ritorna e lascia tracce. Terminando il racconto, si ha la sensazione di aver vissuto una vita intera, una sensazione di malinconia che, tuttavia, ci consente di sorridere.

Terminare la lettura di “Inviti superflui” è un po’ come la fine dell’estate: si guarda indietro con un filo di tristezza, sapendo che, però, tra un anno ritornerà.

[“Leccenews24”, 30 agosto 2020]

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