“Schwa”, che cosa c’è dietro la misteriosa parola

di Rosario Coluccia

Non è frequente che un tema specialistico diventi di massa, coinvolgendo un pubblico largo. Chi segue anche sbadatamente le cronache non politiche dei media avrà letto (o forse sentito parlare in qualche trasmissione televisiva) di una petizione lanciata con grande successo su Change.org intitolata “Lo schwa? No, grazie. Pro lingua nostra”. 

La petizione in pochi giorni ha raccolto quasi ottomila firme, tra cui quelle di personaggi molto noti, di intellettuali, di linguisti, che non nominerò per non aggiungere notorietà non necessaria. Come non nominerò chi è intervenuto a favore o contro (a volte citando tra virgolette, i testi sono pubblici), per evitare ogni rischio di pubblicità non richiesta e forse non voluta. 

La petizione comincia così: “Siamo di fronte a una pericolosa deriva, spacciata per anelito d’inclusività da incompetenti in materia linguistica, che vorrebbe riformare l’italiano a suon di schwa. I promotori dell’ennesima follia, bandita sotto le insegne del politicamente corretto, pur consapevoli che l’uso della “e” “rovesciata” non si potrebbe mai applicare alla lingua italiana in modo sistematico, predicano regole inaccettabili, col rischio di arrecare seri danni anche a carico di chi soffre di dislessia e di altre patologie neuroatipiche”.

Nonostante il dibattito in corso, forse non  tutti sanno esattamente cosa è lo schwa. Si tratta di un simbolo grafico, una specie di “e” rovesciata che non esiste nella tastiera del computer (per digitarlo bisogna cercarlo con l’apposita utilità “Simboli”) e che, secondo i suoi sostenitori, dovrebbe essere usato ogni volta che ci riferiamo a un’entità indeterminata di esseri umani (donne o uomini), in sostituzione della norma linguistica corrente, che prevede la desinenza maschile.

Ad esempio, non dovremmo più scrivere “tutti credono che il sole riscalda la terra”, perché quell’opinione può essere attribuita sia alle donne che agli uomini, e quindi non va bene utilizzare il pronome indefinito “tutti”, con desinenza maschile. Così, se si sta parlando di ragazze e ragazzi che studiano, non dovremmo più scrivere “un certo numero di studenti ha difficoltà con la matematica”, perché in tal modo la forma maschile prevale indebitamente su quella femminile. Quindi dovremmo mettere la “e” rovesciata al posto della “normale” “i”,  in fine delle parole “tutti” e ‘studenti’”.

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