Perché la riduzione del cuneo fiscale non è un vantaggio per i lavoratori

di Guglielmo Forges Davanzati

Vi è un diffuso consenso fra i partiti politici sulla necessità di ridurre il cuneo fiscale per rilanciare la crescita economica in Italia. La proposta è stata lanciata qualche mese fa da Confindustria e gode di un ampio credito, da Fratelli d’Italia al PD. Vediamo di cosa si tratta. Il cuneo fiscale è la differenza fra il salario lordo pagato dal datore di lavoro e il salario netto percepito dal lavoratore. Secondo gli ultimi dati OCSE (si vedano i rapporti periodici Taxing wages), in Italia, il peso della tassazione sul lavoro è notevolmente elevato, pari a circa il 47.9% dello stipendio. Il cuneo fiscale è la somma di due componenti principali: l’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) e i contributi previdenziali. Il dipendente paga l’imposta e parte dei contributi, il datore di lavoro si fa carico della restante parte dei contributi previdenziali. La parte quantitativamente più consistente della differenza fra salario lordo e salario netto riguarda le aliquote INPS. La ripartizione del cuneo è pari al 16% di imposte, 7% dei contributi dei lavoratori, 24% di contributi dei datori di lavoro. Il cuneo fiscale viene quantificato sulla base della normativa fiscale e previdenziale vigente e applicata sulla retribuzione media.

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