Leggerezza e bellezza per l’assedio del tempo

di Antonio Errico

Vengono tempi, a volte, che mostrano, anche se fugacemente, una qualche condizione di leggerezza. Come se uno, all’alba, aprisse una finestra e si ritrovasse negli occhi un cielo trasparente e  una sbalordente biancata di mare. Ma poi, più o meno improvvisamente, il cielo si rannuvola e il mare si rivolta.  

Forse non c’è  mai stato un tempo che non abbia avuto leggerezza, come non ce n’è stato mai uno che non abbia avuto pesantezza. Quasi certamente dipende anche dal nostro modo di confrontarci con il tempo, dal nostro sentimento nei suoi confronti, dal nostro essere disponibili a dare accoglienza ad un’immagine, una vibrazione, una sensazione di leggerezza. Ma in questo tempo, quando ci si guarda intorno, quando si aprono i giornali, quando si accedono i televisori, si ha l’impressione forte, stringente, che non esista leggerezza, che non esista possibilità di leggerezza. Tutto sembra pesante, greve, opprimente. Come se l’aria fosse irrespirabile, soffocante. Come se un peso ci schiacciasse la testa. Forse tutti i tempi sono stati così. Però uno fa i conti, inevitabilmente, con il tempo che attraversa, con le sue storie, le sue vicende, e facendo i conti gli sembra che il suo tempo sia senza leggerezza. Ma poi, che cos’è leggerezza. Dopo quello che ha scritto Italo Calvino, non è possibile dire qualcosa sulla leggerezza senza fare riferimento alla prima delle sue “Lezioni americane”. Disse Calvino che nel momento in cui il regno dell’umano sembra condannato alla pesantezza, si dovrebbe volare come Perseo in un altro spazio. Non parlava di fughe nel sogno o nell’irrazionale, ma di un diverso approccio ai fatti e alle cose, di un diverso modo di guardare il mondo e i suoi fenomeni, di una diversa prospettiva di osservazione, di un’altra logica  di interpretazione, di altri metodi nei percorsi di conoscenza, di verifica, di valutazione degli eventi. Se la leggerezza non è fuga nel sogno e nell’irrazionale, forse può essere fuga dal castello cinto d’assedio dalle circostanze, dalle contingenze, dalle accidentalità. Una fuga da tentare quando comincia a scendere la notte, per poi rientrare quando comincia ad albeggiare. Qualche ora di fuga per  scoprire se qualcosa di leggero si manifesta anche se con timidezza, finanche con pudore. Per scoprire una leggera bellezza. Perché ha ragione l’imperatore Adriano quando nel romanzo di Marguerite Yourcenar dice:“Chi ama il bello finisce per trovarne ovunque, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile”.

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