Le persone e il cellulare. Così il mondo sfugge di mano

Se passi troppo tempo al telefono vuol dire che quel tempo lo stai rubando ad altre cose probabilmente più importati di quelle di cui parli al telefono. Vuol dire che ti stai impedendo di guardarti intorno, di riflettere, di ascoltare qualcuno che  ti vorrebbe parlare di sè, di parlare a qualcuno di te. Cioè: stai trascurando le persone; stai trascurando te stesso. Se passi troppo tempo al cellulare e poi a questo tempo aggiungi quello che passi a navigare, vuol dire che stai dissipando le tue ore, i tuoi  giorni, la tua vita. Potrebbe sembrare esagerato ma forse il problema è proprio questo: come usiamo il tempo che ci appartiene ed al quale apparteniamo, quello che viene una volta sola e poi basta, quello che ci è concesso come un dono che ad un certo punto si deve restituire.

Se passi troppo tempo al telefono ti allontani da te stesso, ti consegni ad una voce che molto spesso non ha niente di importante da dirti, da raccontarti, perché l’importante si dice in un minuto, l’essenziale si dice anche in meno di un minuto, e poi come si fa a pensare che per ore e ore ci sia qualcosa di importante da dirsi. Allora se passi molto tempo al telefono forse significa che in realtà non ti dici niente, addirittura che neanche telefoni ma che fai i giochini, guardi il meteo ogni trenta secondi, mandi messaggi a chi è interessato ai tuoi messaggi tanto quanto tu sei interessato ai suoi, cioè zero, vuol dire che mandi foto a casaccio, che scatti selfie senza significato. Insomma vuol dire tante cose inutili.  

Se passi troppo tempo al telefono, a bighellonare nel web, vuol dire che non hai proprio altro da fare ed è un peccato che tu non abbia proprio niente altro da fare, per cui dovresti pensare qualcosa, cercare qualcosa di più interessante, di meno straniante. Vuol dire che non sei attratto, che sei distratto, deconcentrato o impropriamente concentrato, disattento, spaesato, esiliato, confinato nel virtuale.

Se sei bambino puoi lasciare il cellulare, che tanto non ti serve, ed andartene alle giostre, a giocare a pallone per la strada, a battere le mani sulle soglie con le figurine dei calciatori. Se non lo sei puoi uscirtene in piazza a chiacchierare con gli amici, a combattere epiche battaglie di scopone. Se passi troppo tempo al telefono, ti dimentichi che puoi fare tutte queste cose e che ne puoi fare tante altre oltre a queste. Se passi troppo tempo al telefono non sai cosa ti perdi.

Talvolta viene da pensare che nell’uso e nelle relazioni attraverso il digitale noi siamo giunti all’esagerazione, all’eccesso, alla smoderatezza, all’abuso, all’incontinenza. Non siamo più in grado di governarli e di governarci in rapporto ad essi. Ci stiamo facendo soggiogare.

Non c’è più neppure una differenza fra le generazioni dei padri e dei figli. Ci siamo messi tutti insieme, padri e figli, nell’imbuto. Nativi e immigrati digitali tutti quanti, indifferentemente, nell’imbuto.    

Forse non c’è nemmeno un rimedio, a questo punto. Forse dovevamo pensarci prima, avere se non proprio una saggezza almeno un senso della misura. Non l’abbiamo avuto. Indubbiamente si può dire che si tratta di evoluzioni ( o involuzioni) dei processi e dei mezzi culturali.  Certo è che non sempre quello che viene dopo è progresso.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 25 settembre 2022]

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *