Gli equivoci di Giorgia Meloni sull’euro

Pur sperimentando le dosi più massicce di austerità fra i Paesi europei, e la più ampia caduta dell’Epl (quindi la maggiore accelerazione delle misure di flessibilità del lavoro), l’Italia non ha saputo trarre benefici strutturali e di lungo periodo dal modello di crescita export-led. La guerra russo-ucraina sta facendo sentire i suoi effetti, con un forte rallentamento della crescita tedesca: nel 2022, si è registrato il primo rosso della bilancia commerciale da trent’anni. Le esportazioni sono così scese dello 0,5% a 125,8 miliardi di euro mentre il valore delle importazioni è salito del 2,7% a 126,7 miliardi. Uno dei più autorevoli studiosi dei meccanismi di funzionamento dell’Unione, il belga Paul De Grawe, è giunto alla conclusione per la quale sarebbe ora conveniente per i Paesi che ne fanno parte – sulla base di un’analisi costi/benefici – accelerare il processo di unificazione politica. Per De Grawe, ciò che manca è una “variabile latente” di natura culturale, ovvero il “senso di appartenenza” delle popolazioni europee al progetto di unificazione. Il Patto di Stabilità e Crescita è stato sospeso per consentire incrementi di spesa per far fronte alla crisi sanitaria e si dovrà verificare se riattivarlo a breve o meno. In questo scenario, la posizione di Fratelli d’Italia rischia di peggiorare il quadro. Ciò per la seguente fondamentale, che trova la sua ratio nel fatto che, fino a pochi anni fa, questo partito sosteneva le virtù salvifiche del ritorno alla lira (si ricordi il piano B del prof. Savona) e che, dunque, un governo italiano a sua guida potrebbe innescare l’attesa di decisioni di allentamento dei vincoli di appartenenza all’Unione monetaria da parte del nuovo esecutivo italiano. Sia chiaro che il cosiddetto Italexit – l’abbandono unilaterale dell’euro – prospettiva che questo partito non ha mai esplicitamente rinnegato, sarebbe deleterio per l’Italia e ancora più per il Mezzogiorno. Il ritorno alla lira – si badi, anche solo annunciato – non potrebbe che produrre attacchi speculativi sui titoli del nostro debito pubblico e il deprezzamento della valuta. Ne seguirebbero difficoltà di finanziare la spesa e inflazione importata. In una condizione nella quale il tasso di inflazione si asseta già oltre l’8%, questo evento, nel breve periodo, va evidentemente scongiurato. Il possibile effetto di rilancio delle esportazioni – quand’anche dovesse verificarsi – sarebbe poi prevalentemente localizzato nel Nord del Paese. Se si considera che le imprese localizzate a Sud hanno una bassissima propensione alle esportazioni (e che la gran parte delle famiglie povere risiedono nel Mezzogiorno), ne deriva che il progetto di Fratelli D’Italia di mettere in discussione l’unificazione monetaria europea manifesta le sue rilevanti criticità soprattutto all’area economicamente più debole del Paese.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 29 settembre 2022]

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