La povertà ai tempi di Giorgia Meloni

Lo sfruttamento nelle campagne pugliesi si inscrive in questa dinamica. Riguarda, infatti, molto spesso la coltivazione di prodotti alimentari – si pensi ai pomodori – venduti alle multinazionali del cibo. Si tratta di grandi imprese che ottengono ingenti profitti su larga scala dalla vendita a milioni di consumatori di prodotti di scarsa, scarsissima qualità. McDonalds’ ne è un esempio. Per contenere il prezzo di vendita a livelli eccezionalmente bassi, occorre acquistare input a costi irrisori e, per farlo, occorre rivolgersi a produttori che siano in grado di spingere i salari al livello più basso possibile, quello appena compatibile con la sopravvivenza fisica del lavoratore.

Le multinazionali del cibo, proprio per la strategia di prezzo che utilizzano, ottengono utili crescenti al crescere delle diseguaglianze e della povertà: ovvero, hanno la loro ragion d’essere e traggono alimento dai peggiori risultati macreoeconomici che il sistema consegue.

Il lavoro povero è tale soprattutto nei contesti nei quali non è richiesta specializzazione del lavoro (e, dunque, vi è ampia sostituibilità dei lavoratori occupati) e nei quali è poco presente, o del tutto assente, il sindacato. Nel Mezzogiorno entrambe queste condizioni si stanno accentuando: cresce la quota di imprese che occupa lavoratori poco qualificati – quelli più facilmente ricattabili – e si riduce il potere contrattuale dei sindacati e la loro funzione anticoncorrenziale.

Per la destra la povertà è una colpa individuale. Il Governo ha annunciato una revisione del reddito di cittadinanza, la principale misura esistente di contrasto alla povertà, che verrà tolto agli individui che si presume siano abili al lavoro e in età da lavoro, e in più non ha in programma interventi di lotta al lavoro povero. L’unica misura prevista a riguardo è l’ulteriore detassazione delle imprese (che già ricevono ben 40 miliardi di euro all’anno), nella forma del “più assumi, meno paghi”. Si tratta di un intervento a dir poco stravagante, che si concretizza nel premiare le imprese con la più elevata incidenza dei dipendenti in rapporto al fatturato. Si badi che il rapporto fatturato/dipendenti è una misura della produttività del lavoro (in valore): l’intervento, privo di qualunque significato economico, incentiva dunque le imprese meno efficienti, ovvero quelle con la produttività più bassa. Esattamente quello che la teoria economica suggerisce di non fare!

In più, il meloniano “più assumi, meno paghi” spinge anche le imprese ad assumere lavoratori poco qualificati, dal momento che costano meno e questa scelta dà comunque diritto al bonus governativo.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, 21 ottobre 2022]

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