Su Dissimiglianze, un ritorno di Carlo Alberto Augieri

            Ognuna delle cinque composizioni, prendendo spunto dal testo-base, affronta dunque un tema particolare: il ritorno al paese natio, il concetto di spazio, quello di infinito, il rapporto con l’assoluto, con l’altro da sé. La prima poesia, Ritorno nel natìo, ispirata a Hölderlin, è quasi un rapida autobiografia, a flash, a frammenti. Qui infatti il presente (il ritorno al luogo natio appunto, con tutte le emozioni e le sensazioni connesse) si mescola al passato, nella rievocazione, di tipo quasi antropologico, di usi, tradizioni, personaggi del paese dell’autore, e della sua personale vicenda di emigrato per motivi di studio con il corredo di speranze e nostalgia che essa porta con sé (“il più lontano che posso / lo cercai nelle pagine dei libri / vi era il richiamo delle voci contadine / lo studio! lo studio! c’è la verità / un saper dire che / inzittisce perché nell’orizzontalità…”, p. 35).

            A volte Augieri procede a una sorta di attualizzazione di certi concetti alla luce dei più recenti avvenimenti o delle nuove conoscenze scientifiche. È il caso di Sgomentando per l’azzurro… ancora l’azzurro, dove l’Azzurro, simbolo per Mallarmé di una trascendenza crudele, assente, è calato nella situazione storica attuale, da cui deriva la visione di un cielo spesso solcato e violentato dagli aerei che sganciano “bombe intelligenti”. Per questo il poeta ritrova l’Azzurro nell’umanità più indifesa, “ nell’innocenza che / muore… / negli innocenti che ancora… nella stragi / perpetue degli innocenti che ancora…” (p. 48). Invece in Accattone d’infinito randagio, ispirata all’Infinito di Leopardi, il concetto di “infinito” è rivisto alla luce della teoria della relatività di Einstein, che ha portato a una nuova idea dell’universo e delle sue leggi. Ecco allora emergere il “big bang” dalla “profondissima sor / gente dis / sipativa incoincidenza di  / tutto e globo del / le parti” (p. 55).

            Un’altra composizione, Nello stupore del non saper dire, che prende spunto dall’ultimo canto del Paradiso dantesco, è tutta giocata con l’immagine della luce, in cui si identifica il soprannaturale, e con il campo semantico ad essa collegato (“luce nella / luce e nell’e poi la / luce / per distanza un riflesso / per differenza un barlume” (p. 73) , mentre in Non so che, mi trovo per caso, ispirata a San Juan de la Cruz, emerge il mondo degli emarginati dalla società opulenta, fatto di “barboni”, “extracomunitari”, “down”, coi loro sguardi “spossessivi”, un mondo al quale l’autore si sente idealmente vicino.

            Tutto ciò però non è detto con un discorso logico e razionale, ma attraverso un continuum fonico e semantico che sembra emergere da una sorta di magma indifferenziato. Per questo un aspetto fondamentale, come s’è detto, è quello dello stile, del linguaggio. Forse si potrebbe parlare, a tale proposito, di un neo-espressionismo, in quanto qui c’è la tendenza a forzare il linguaggio per cercare di esprimere il grumo nascosto. Anzi Augieri si crea un  linguaggio più rispondente alle sue esigenze, come, ad esempio, nel caso dei verbi denominali: “orizzontare” (37), “pellegrinare” (37), “profugare” (46), “deserta” (48), “nullano” (49), “caminetta” (68),  “terrestrano” (78), “alluciano” (82), ecc. Spesso questi verbi sono usati nella forma riflessiva: “mi straniero” (37), “m’estrema” (89), “m’avventura” (89), “mi ricciola” (95), “mi goccia” (95), “mi fremita” (95),  “mi sentiero” (99), ecc. Le parole vengono sottoposte a una sorta di continuo processo di aggregazione e di disaggregazione. A volte  vengono accorpate  (“vuotopieno”, 56); altre volte  spezzettate anche a fine di verso (“perturb / azione”, 53, “neces / sità”, 53, “ra / pimento”, 81). Ora ancora vengono deformate: “ghiaccìo” (62), “goccìo” (62), “vaghità” (65), “bianchitudine” (68).  Frequenti sono  i termini creati ex novo, come “inlegnata” (76), “nuvolarie (78), “nebulosarie” (78), “ventiginoso” (64). Assai frequenti sono anche le iterazioni e le allitterazioni, segno, questo, del forte rilievo che assume la componente fonica nei testi di Augieri.

[In A.L. Giannone, Modernità del Salento. Scrittori, critici, artisti del Novecento e oltre, Galatina, Congedo, 2009]

Questa voce è stata pubblicata in Recensione e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *