La selezione delle classi dirigenti nel Mezzogiorno, la cultura locale e l’autonomia differenziata

Ciò nonostante, il Sud resta – ancora oggi – un importante mercato di sbocco delle produzioni del Nord, sebbene sia un mercato di sbocco di dimensioni meno rilevanti di quanto poteva essere nella stagione del “miracolo economico”. Ciò a ragione del calo dei consumi conseguente alla (i) precarizzazione del lavoro, (ii) alla denatalità, (iii) alle migrazioni, (iv) al blocco del turnover (Governo Monti, nel 2012-2013) e al conseguente venir meno del ruolo della pubblica amministrazione come importante datore di lavoro in quelle regioni. Si può mostrare, in queste condizioni, che la sottrazione di risorse al Sud – effetto del processo di regionalizzazione – non conviene al Paese e neppure conviene al Nord, almeno se si considera quest’ultimo nella sua sezione (consistente, dal punto di vista quantitativo) di imprese che non operano in mercati locali. La dimostrazione avviene analizzando il valore puntuale dei c.d. moltiplicatori fiscali cumulati e del valore che questi assumono per gli scambi interregionali. Il valore del moltiplicatore della spesa pubblica è molto alto e superiore all’unità, segnalando che 1 euro di trasferimenti del Mezzogiorno attiva un aumento più che proporzionale del Pil italiano, anche a beneficio delle imprese del Nord.In questo articolo ci si prefigge di inquadrare il progetto dell’autonomia differenziata – da respingere, ad avviso di chi scrive, per la fondamentale motivazione espressa ora (l’evidenza empirica sul valore dei moltiplicatori interregionali) – alla luce della sedimentazione delle norme sociali al Sud e del loro effetto sullo sviluppo economico. 1 – È un dato di fatto, registrato da un’ampia evidenza empirica, che le periferie del capitalismo – qui segnatamente il Mezzogiorno d’Italia – hanno una dotazione di capitale sociale (calcolato sulla base di numerosi indicatori, tutti convergenti nell’attitudine al rispetto delle norme morali) inferiore a quella del Centro (cfr. Forges Davanzati, 2006). Non vi è unanimità fra economisti, sociologi e storici economici in ordine alle cause di questo fenomeno. Appare abbastanza plausibile ritenere che più che il prodotto della Storia, ciò sia imputabile proprio al rapporto di subordinazione e dipendenza che la periferia instaura con le aree centrali della riproduzione capitalistica: molto spesso, tale rapporto si manifesta sotto forma di ordinativi che le grandi imprese del centro inviano, per rapporti di subfornitura, ai fasonisti della periferia. Il potere contrattuale, in tali rapporti, è asimmetrico. Si tratta, di norma, di poche grandi imprese in oligopolio al centro che lavorano con molte piccole imprese, in condizioni di concorrenza, in periferia. Per tutelare i propri margini di profitto, le imprese del primo tipo spingono le seconde a strategie di breve periodo di compressione dei costi (dei salari e dei costi connessi ai diritti dei lavoratori). Non a caso, come mostra l’evidenza empirica, i rapporti di lavoro precari sono più diffusi nel Mezzogiorno. Alla luce di queste considerazioni, si può ritenere che il deterioramento del capitale sociale è semmai l’effetto, non la causa, del sottosviluppo del Mezzogiorno. La spinta alla moderazione salariale al Sud significa anche spinta alla violazione di alcuni essenziali codici etici che vengono, per contro, rispettati nei rapporti di lavoro al Nord, in una configurazione nella quale l’economia del centro cresce mediante incrementi di produttività, causati dall’avanzamento tecnico, dalla ricerca scientifica e dalle emigrazioni intellettuali dalla periferia, mentre l’economia della periferia si allontana da quella del centro come conseguenza del fatto che prova a essere funzionale alla prima attraverso la compressione dei salari e dei diritti dei lavoratori. La riduzione dei salari al Sud, infatti, consente alle imprese del Nord di mantenere almeno inalterati i profitti e questo rapporto di dipendenza si rende possibile dato il superiore potere contrattuale delle imprese del Nord rispetto ai loro fornitori intermedi meridionali: i primi operando, infatti, in forme di mercato oligopolistiche, mentre i secondi in concorrenza. È questo, dunque, fin qui un caso ulteriore nel quale il mercato propaga e amplifica diseguaglianze regionali. La progressiva riduzione del Pil pro capite al Sud ne deteriora il capitale sociale, accrescendo la propensione a transazioni illecite. Siano, come esempi, il lavoro nero (infatti più diffuso nel Mezzogiorno) e la peggiore qualità delle istituzioni (per esempio, la quasi totale assenza di amministratori pubblici con meno di 40 anni,).Il meccanismo, con ogni evidenza, si autoalimenta: l’attivazione di rapporti economici dal Sud al Nord impoverisce il Sud; l’impoverimento del Sud impatta negativamente sui codici etici delle sue imprese e quest’ultimo fattore, a sua volta, contribuisce a generare ulteriore impoverimento. Si può discutere, a riguardo, il problema della qualità degli amministratori locali. Gli amministratori over 40 hanno ovviamente un network di conoscenze più potenziato (per ragioni banalmente anagrafiche) degli amministratori under 40. I primi, selezionati in competizioni politiche locali, hanno, dunque, un vantaggio posizionale perché si avvalgono di un’incidenza del voto di scambio superiore a quella dei secondi.


[In corso di pubblicazione per gli atti del Convegno meridionalista di Bari – 14 dicembre 2022]

Questa voce è stata pubblicata in Economia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *