Gli osservatori della sua arte sanno che la casa dell’artista sta oltre le case degli altri abitanti l’antica Anxa. La sua casa guarda il Mediterraneo, quel mare che, secondo Massimo Bortolotti, porta l’artista a operare «una sublimazione immediata, comunque riluttante alla mera riproduzione, tale che ne scaturisce la sua particolare “mediterraneità”», i cui luoghi, secondo Giuseppe Albahari sono «senza cronache […] evanescenti fino a divenire sensazioni, fino ad unificare la componente spaziale con quella spirituale, simboli istintivi, lievi, rarefatti, incontaminati, fantastici». Mentre Gigliola Blandamura scopre che in essi (cioè i luoghi della mediterraneità di Antersi) c’è «il riferimento reale e più sottile e più profondo [di] significati spaziali e luministici, frutto evidente di un apporto ambientale fatto di grandi spazi, di cieli e di mari mitici come quelli della sua terra, la Puglia». Per Mario De Marco, invece, l’arte di Anteri è frutto di una capacità artistica che lo porta a procedere «dal riferimento reale per poi quasi annullarlo, per sublimarlo e alleggerirlo».
La tecnica pittorica di Anteri è audacissima. Il suo tocco di pennello sulla tela è magico, accarezza la superficie coprendo gli spazi fino all’invisibile spessore del neurone imprendibile. Gabriella Sbardella, una sua estimatrice, afferma che «la sua pittura vede aldilà delle stesse particelle che compongono il pensiero. Ma il pensiero è qualcosa già dell’anima. […] Ogni [suo] quadro ha il fascino del mistero dove ognuno può avvertire le proprie sensazioni, le proprie emozioni». Emozioni come di stato straordinario di coscienza, emozioni come senso di vuoto e di lievitazione. Di ciò me n’ero accorto già tanto tempo fa quando, abbagliato dai suoi dipinti, vidi in essi una sorta di oltrepassamento, un andare aldilà di quell’Altrove dove tutto diventa evanescente e luminoso, con il colore fondante dimensioni magiche. È soprattutto nei suoi blu cobalto, nei suoi rossi infuocati, che è possibile percepire le trasparenze di sogni dentro i quali i suoi mondi metafisici rotolano su se stessi in un vortice cromatico di atmosfere espansive. E poi, quei suoi cieli limpidi come le limpide ed innocenti anime dei bimbi. La sua purezza stilistica è così sottile e inconscia da non permettergli spesso di accorgersi del momento in cui la sua mano, divenuta quasi automatismo filtrante, comincia a cogliere i brandelli di colore cosparso sulla tavolozza per distenderlo sulla tela, ormai gonfia di tensioni cromatiche, di dense concettualità. «Anteri – ha scritto il grande Giacomo Manzù – è un’artista concettuale, ma estremamente sobrio ed essenziale, come la sua indole e il suo modo di porsi ed essere nel mondo difficile dell’Arte. La sua anima si legge tutta nelle tonalità pacate e soffuse delle sue tavole pregnanti di luce e vitalità».
Ecco allora perché, il mondo del pittore gallipolino è un mondo evanescente, trasognante, trasparente, fatto di visioni di luci abbaglianti, di tagli cromatici metallici, di magie d’altri tempi, di un simbolismo ancestrale. Quel simbolismo che Gino Schirosi individua come sorgente «dalle radici sanguigne e ancestrali della terra avita e meridionale, pregna di un’atmosfera solare, dal chiarismo singolare, non necessariamente espressa». E Domenica Specchia lo conferma «in quanto [tali simboli] possiedono una valenza contenutistica che è propria del veicolo segnico, [del] linguaggio artistico articolato in ben definite forme espressive».
Quella di Mimmo Anteri è una pittura a volte atemporale, come essere al di fuori di ogni tempo, eppure, nell’hic et nunc, è percepita dentro un tempo particolare, quello di noi umani, che Francesco Spadafora dice essere «un tempo in noi che non è presente né passato./ Sacca di vissuto, flash, fari nella notte, che illuminano un’idea da consegnare ad altri./ Ed è in questo spazio temporale, trasgressione e consapevolezza che Anteri, schivo e però vivace, si pone, per stupirci con le sue emozioni per risvegliare le nostre».
Arte che «”inventa” il contrappunto – scrive Piero Simonelli – alla tecnologia e ne fissa le immagini in singoli fotogrammi, in tempi diversi e/o in forma assiomatiche del divenire dei simboli talvolta prospettici».
L’arte di Anteri è poi poesia pittorica. Antonio Basile la definì «variegato universo poetico». Arte raffigurata sulla tela come romanzo onirico, che si fa luce splendente nell’animosità silente di ali di gabbiani, di sinuose alghe sottomarine, d’incroci di aste menhiritici, di falcette di lune ritagliate a filo di bisturi setolato, di emblematici alberi d’ulivi soffiati dai venti dello scoglio. Non c’è angoscia nelle sue campiture marine e celestiali, piuttosto un romanticismo delicato sconfinante quasi in un probabile Infinito leopardiano. Scrive Giuliano D’Elena che «la ricerca poetica [di Mimmo Anteri] è tutta incentrata sulla purezza tonale delle sue ritmiche immagini dell’anima, come coerente sintesi espressiva giunta ai massimi livelli». Mentre Giuliano Serafini si domanda «dove” si colloca il suo universo poetico». E Massimiliano Cesari le vede come «interamente calate in questa dimensione di poesia».
Arte poetica, dunque, contro ogni forma di retorica e commiserazione, che ha permesso ad Anteri di liberarsi di qualsiasi fardello anacronistico. A suo tempo l’aveva ben capito il suo amico e sodale nell’arte, Eugenio Giustizieri, che scrisse che «quella di Anteri è un’arte guerriera, [che] combatte ogni retorica caritatevole e consolatoria; arte audacemente o solo disperatamente moderna, da custodire e su cui meditare, da consultare nel tempo e consacrare sull’altare della rimembranza. È lo slancio e il coraggio di un operare che ha la sua misura nell’inedita alleanza tra retaggio e novità, tra delirio e condivisione, tra chiusura e dilatazione; è la linea di confine da oltrepassare, con cautela, appostati in posizione di difesa, pronti a perquisire le troppe attese del presente tremando dinanzi alle incognite del domani».
Parole estreme e audaci quelle di Giustizieri, ma che centrano il nucleo dell’arte anteriana. Un’arte, che oltre ogni confine, s’impone appunto come poesia, come musica, come armonia. Sondando il profondo dell’anima dell’artista, Remo Brindisi scrive che «Anteri è uno degli artisti del senso dell’arte la quale lo induce a scontarne le risonanze e le armonie come si conviene ad un lavoro di oculata perizia tecnica e sollecitudine culturale. All’artista possiamo attribuire ogni valore che coinvolge la nostra epoca contemporanea, ma soprattutto sensibilità e forza mediatrice per controllare il presente e il futuro di una civiltà poliedrica nella relazioni umane».
«Attraverso le sue immagini – ha scritto Nicola Cesari – [Anteri] ci riconcilia con noi stessi, ci invoglia ad interrogarci sui valori dell’esistenza, ad ascoltare i silenzi, ad immergerci in atmosfere incantate dove tutto sembra appartenere a mondi remoti, intravisti e sognati».
Si tratta di atmosfere sognanti, di rifugi dell’anima dentro silenzi siderali, spazi cosmici sconfinati. Appunto. Il suo è un racconto d’altri tempi, che sono poi anche i nostri tempi, i tempi di sempre, di ciò che diciamo essere il creato e di ciò che ci appartiene come umani che viviamo il presente memori della determinazione di ogni soffio vita. Mimmo Anteri dipinge sinuosità geometriche (elementi periferici di ogni realtà, la linea di costa della “sua” scogliera come “linea d’ombra”, il limes di un cielo terso o di un mare smeraldino che non si ferma al limitare della cornice) e sfuma i colori di pochi cromatismi comunque sempre diffusi in un contesto cosmogonico di un fare arte dentro una dimensione di acque, mediterraneità, eternità. La sua è l’inconscia spiritualità concettuale che così si apre sulle porte di quella sua espressività pittorica, frutto di esperienze che si perdono nei ricordi dell’infanzia.
Le ali dei gabbiani anteriani tagliano lo spazio sulla tela. Così pure gli apici delle metafisiche vele di mitiche navi omeriche. È questa la sua immensità spaziale. Sulla tela domina l’azzurro, quel colore, audace ed austero, che fa perdere i sensi all’osservatore. Nella sua arte è peculiare il suo senso prospettico, le sue geometriche a taglio fisso su forme rinascimentali e ultra moderne, su arditi sprofondamenti abissali. Altro dominio sulla tela è il mare: quando azzurro, quando di una luce eterea sfiorante la verginità del bianco. E poi il cielo: sconfinato nella sua immanente celestialità cosmica. E poi gli armoniosi contorni della scogliera prospicente la sua casa davanti all’orizzonte del golfo gallipolino, altro limes di una geometria assolutamente asciutta che non permette tentennamento. Come Neruda, nella casa di Isla Negra, Anteri dice: “La mia casa è lì sulla scogliera di Gallipoli. Lì ci sono i miei colori. Lì c’è la mia arte”.
La sua composizione geometrica pittorica sta dentro gli elementi costituenti il contenuto e le forme dell’opera, transfusi nell’utopia di un divenire concreto e formale. Allo stesso tempo, però, egli non sfugge all’inevitabile catarsi dell’astrazione romantico-spirituale. No. Anzi. Anteri la insegue e, continuamente, senza mai evadere dal contesto della sua quotidianità, la sottopone al confronto della realtà cogente. La sua arte lumina, come i colori indistinguibili delle antiche miniature di monaci amanuensi chini sui banchi di scriptorium conventuali. E questo è, nonostante che in quasi tutti (oserei dire tutti) i suoi dipinti appare evidente l’assenza di una qualsiasi parvenza d’una fisica umanità. Ma se in essi è fisicamente assente la silhuette di un uomo o di una donna o di un vecchio o di un bambino, tuttavia questi stessi elementi fisici traspaiono al di qua della tela attraverso una luce irradiante da una fonte esterna che illumina come un sole alle spalle dell’artista. Si tratta di un’umanizzazione delle sue visioni surrealistiche, dove lo sguardo dell’uomo osservante si riflette in modo eracliteo sulle immagini stilizzate. E ancora si tratta di realtà simboliche, oltremodo poetico-immaginifiche, che sovrastano sempre e comunque ogni tocco di pennello. La sua pittura è dentro una dimensione d’umanità universale che si sposa con la più autentica verità poetica. In un’era di globalità come quella che viviamo, l’arte di Anteri, ci fa vivere una dimensione di una nuova realtà sempre in divenire, dove la spazialità, intrisa di evanescenze e di cromatismi soffici e soffusi, ci permette di sbalordire, rimanendo colpiti dall’emissione di energie cosmiche, di sensazioni transeutiche. Sulla tela, Anteri riesce sempre a “versare” quel qualcosa in più che, là per là, l’osservatore, in un primo momento, ha difficoltà a individuare, almeno nell’immediato, quando può solo intuire, e con ciò, quindi, sbalordire. La sua arte è empatica che, mentre con/versa con l’osservatore, allo stesso tempo cerca di con/prenderne le emozioni. Per questo i suoi dipinti “fascinano” ed affascinano, permettendo il trasferimento di transe estatico-mistiche, tipiche degli stati modificati di coscienza di popoli che hanno a che fare col mondo andino. Si tratta forse di un suo retaggio legato a quella quotidianità da lui vissuta nei regni di Simon Bolivar.
Dentro i suoi dipinti vedo una luce stromatolitica, quella siderale che proviene da astri luminosi inscritti in anfratti d’un infinito ancestrale e imponderabile, dove spesso appaiono rarefatte la silhuette di terre emergenti attraverso erbose scogliosità marine. Si tratta pur sempre di metafisica concettuale e pura spazialità dove terra, mare, cielo, aria, acqua, tramonti, curve e linee, ulivi apparentemente spettrali, geometrie calcolate, altro ancora, si fondono in un continuum cromatico di marroni, blu cobaltici, celesti rosa pallidi, verdi eterei, liquide rarefazioni, rossi filtranti.