di Paolo Maria Mariano

Un giorno, un uomo che chiamarono l’Airone, ma anche il Campionissimo, pedalò da solo in cima al Pordoi e Mario Ferretti, il cronista, riferì che la sua maglia era bianco-azzurra e il suo nome era Fausto Coppi. Quell’avanzare solitario, non privo di desiderio del traguardo e di fatica, divenne appassionata epica radiofonica.
Proprio in quest’anno in cui ricorre il centenario della nascita di Coppi, in un mercatino di Cormano, alle porte di Milano, sono emerse riprese a colori del Giro d’Italia del 1940, riprese di cui non si aveva più memoria – inattesa è spesso la vita che giunge quando siamo impegnati a programmare altro. Quello 1940 fu il primo Giro per il ventenne Coppi, e fu anche la prima grande vittoria. Allora Coppi era solo un gregario ma il suo capitano, Gino Bartali, aveva accumulato ritardo prima delle montagne, mentre il ragazzo sorprendeva per freschezza e ardimento. Bartali, allora, sorpreso ma non logorato dalla gelosia, si mise a disposizione del ragazzo; lo aiutò sulla salita del Pordoi, quando Coppi era preda di una crisi furente; lo spinse urlando che non mollasse, pedalando dinanzi a lui per ridurre la resistenza dell’aria, lanciando così quello che sarebbe diventato suo formidabile concorrente.
Il Giro è una gara di resistenza che si accende di glorie momentanee, ma anche di rovinosi rallentamenti. Protagonista muta è la bicicletta, veicolo di struttura semplice, il cui modestissimo estro meccanico – come piaceva definirlo a Gianni Brera – racchiude, però, questioni non banali di modellazione matematica.