Prefazione allo Zibaldone galatinese di Gianluca Virgilio

di Antonio Prete

Le congetture relative all’origine e al significato della parola zibaldone – etimo arabo, variante di zabaione, raccolta eterogenea di scritti, mescolanza di forme diverse – sono state come sgominate o relegate a mere disquisizioni lessicali dinanzi al prisma di significati messo in campo  dal titolo apposto da Giacomo Leopardi al suo “smisurato” manoscritto, Zibaldone di pensieri. Dal luglio-agosto del 1817 al 4 dicembre del 1832 – in alcuni anni in maniera più continuativa e quasi diaristica, in altri secondo ritmi diseguali, negli ultimi cinque anni con lunghe interruzioni – il poeta affida ai suoi quaderni meditazioni al margine della biblioteca degli antichi e dei moderni che via via egli va compulsando e chiosando, considerazioni d’ordine morale, teoretico, politico, aforismi, annotazioni autobiografiche, considerazioni sulla genealogia dei saperi, sul loro svolgimento e sulle loro reciproche connessioni, lampeggiamenti fantasiosi, indagini sulle lingue, sulle loro relazioni, interrogazioni sui grandi enigmi dell’esistenza individuale e universale. Si tratta di una scrittura abitata da una presenza: il silenzio che separa un pensiero dall’altro, cioè una discontinuità e una sospensione in cui si può cogliere il riverbero dei giorni, il trascorrere del tempo. Su questa trama temporale si disegna una conoscenza che via via si annoda intorno a grandi campi di discorso, quei campi che l’autore quando stenderà gli Indici di così vasta materia nominerà in alcune grandi schede : Trattato delle passioni, Manuale di filosofia pratica, Memorie della mia vita, ecc. Libri possibili, ma mai scritti da Giacomo, libri che respirano come dispersi e quasi in forma di sinopia nella fitta trama di frammenti nominata Zibaldone.

Raccogliere via via i propri pensieri sotto la voce Zibaldone significa muovere dall’esempio leopardiano : filiazione che Gianluca Virgilio rende esplicita nell’ultimo frammento di questo suo libro, con una bella variazione meditativa intorno al confronto tra l’aggettivo “smisurato” usato da Leopardi per definire il proprio manoscritto e quella connotazione di “smisurata” con cui è indicata nelle Operette morali  la statua-donna-natura che appare all’Islandese.  

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