Lontananza

di Antonio Prete

Con un racconto e una lettura di Caterina Pastura

Stare in uno stato di lontananza: il principio della meraviglia. Per Dorothy, raggiungere la Città di Smeraldo è attraversare la lontananza, portandosi dietro, di passo in passo, i desideri:  “– Ah, la strada è lunga da qui alla Città di Smeraldo, – osservò il Re. – È così lontano che nessuno di noi è mai stato là”.  

La lontananza è la linea dove il meraviglioso si può affacciare, per poi subito ritrarsi nell’impossibile : luogo dell’arcobaleno, festa del visibile, ma abitata dalla minaccia della sparizione. Irraggiungibile che si veste di colore e di prossimità, per sottrarsi a ogni cammino che voglia indicarlo come meta. Linea dove l’apparire confina con il nascosto che ne è il ritmo, la luce è abitata dall’ombra che la sostiene, la presenza sprofonda nell’assenza. La lontananza è l’altrove che prende forma fluttuante, metamorfica, fuggitiva. Sta dentro di noi quell’altrove, sta come sogno di un altro tempo, di un altro luogo: immagini che ci permettono di attraversare i giorni senza essere assaliti dal gelo di quel che è già stato,  e ci permettono di camminare per le strade del mondo senza assumere l’alterigia di chi ha già raggiunto uno scopo. 

La lontananza è quel che la presenza esclude e l’immaginazione raffigura: movimento analogo a quello della ricordanza, la quale disserra dall’oblio un’immagine portandola verso il figurabile e allo stesso tempo lasciandola avvolta nella nuvola del lontano.  

Per l’assillo e la fascinazione della lontananza un giorno si parte.  Ma il paese verso cui andiamo è sempre più in là, non alla fine del sentiero, ma oltre: sta nella luce dell’orizzonte, il quale, ad ogni nostro passo, arretra verso una sua sempre indefinita soglia.  Sta, quel paese, nell’azzurro, che è il colore della lontananza, con le sue gradazioni, opacità, trasparenze. 

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