di Rosario Coluccia
«Una notte di 12 anni» è un film di Álvaro Brechner, regista, sceneggiatore e produttore uruguayano. Il film comincia così. Nel 1972, in una sera d’autunno, nove prigionieri politici, che hanno combattuto con i Tupamaros, vengono prelevati e isolati in celle piccolissime, sottoposti a vessazioni e umiliazioni di ogni tipo, spesso tenuti con un cappuccio in testa. Tra questi è José Mujica, che poi (al ripristino della democrazia) diventerà presidente della repubblica uruguaiana. Sono fatti reali, testimoniano un’altra pagina buia del Novecento, un secolo con molti orrori (quello che viviamo neanche scherza, per la verità). Sono le vicende della dittatura “dimenticata” del Generale Bordaberry, che tenne sotto un giogo spietato l’Uruguay dal 1972 ai primi anni degli ’80. Per girare il film gli attori si sono dovuti sottoporre a un durissimo lavoro di condizionamento psicologico e fisico (hanno perso circa 15 chili), provandosi a sperimentare da vicino le condizioni estreme in cui si sono trovati a vivere i protagonisti della terribile esperienza, incarcerati in una notte durata oltre 12 anni. Obiettivo della messa in scena filmica era il tentativo di evidenziare visivamente lo stato fisico di esseri in lotta per non perdere la propria essenza umana. In una scena emozionante e disperata Mujica, liberato dal cappuccio, guarda le scritte e i graffiti che costellano le pareti della sua cella. Ce ne sono varie in spagnolo; una attrae la sua attenzione: «Lasciate ogni speranza voi ch’entrare» (con una piccola svista, «entrare» invece di «entrate»). Una frase di Dante in un carcere uruguaiano.