di Gianluca Virgilio
Innanzitutto vorrei chiarire il senso del titolo del romanzo di Roberto Pazzi, Dopo primavera, Frassinelli (collana Narrativa), Milano, 2008. A p. 10 Emma dice al suo amante Aldo Mercalli: “… tu non reggi dopo primavera, nell’estate fiuteresti subito l’odore della fine…”. A p. 26, riflettendo su quanto gli aveva detto l’amante, Aldo capisce che Emma “aveva scolpito con le sue parole quella metà [cioè l’essere vivente di cui innamorarsi], che svaniva subito “dopo primavera”, appena si accende l’estate della conoscenza”. La primavera della giovinezza, della salute, dell’amore sono viste in contrapposizione all’ “estate della conoscenza” che preannuncia la vecchiaia, la decadenza fisica, la morte. Tutto il romanzo, in effetti, descrive questa fase della vita, in cui la maturità sta lasciando il posto alla vecchiaia, un’età connotata da una forte crisi esistenziale, quando l’uomo sente battere contro i vetri delle finestre di casa i volti delle tante persone conosciute ed amate “che parevano premere per entrare, in un frullo d’ali … Tutto il loro corpo era ridotto al viso, cui si congiungevano le piccole ali, come cherubini” (p. 17). Leggendo queste parole mi sono venuti in mente i versi di Nevicata nelle Odi Barbare di Giosue Carducci:
Picchiano uccelli raminghi a’ vetri appannati: gli amici
Spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
Nasce qui lo sdoppiamento, la divisione dell’io, il conflitto, la lacerazione interiore e, dunque, il viaggio alla ricerca di una possibile ricomposizione.