di Antonio Errico
Alla fine della sua lezione inaugurale al Collége de France, Roland Barthes disse che vi è un’età in cui si insegna ciò che si sa, ma poi ne viene un’altra in cui si insegna ciò che non si sa.
Ora è forse l’età di un’altra esperienza, disse. Quella di disimparare, di lasciar lavorare l’imprevedibile rimaneggiamento che l’oblio impone alla sedimentazione delle cognizioni, delle culture, delle credenze che abbiamo attraversato. “Questa esperienza ha, credo, un nome illustre e demodé, che io oserò impiegare qui senza complessi, proprio nell’ambivalenza della sua etimologia: Sapientia: nessun potere, un po’ di sapere e quanto più sapore possibile”.
Quando Barthes tenne la sua lezione, erano i primi giorni di gennaio dell’anno Settantasette. Un altro secolo. Un altro millennio. Un altro tempo. Che sembra lontano, lontanissimo. Ma a volte i tempi si rassomigliano, straordinariamente. Si rassomigliano gli interrogativi che ci si pone nei confronti dei problemi che portano, i dubbi che scagliano sulle nostre certezze, sulle nostre coscienze. Si rassomigliano le paure, le speranze, le illusioni, le disillusioni, le ragioni, i sentimenti che proviamo verso le cose che ci appartengono, verso le storie che ci riguardano.
Ora è forse l’età di un’altra esperienza, diceva Barthes. Allora come ora. Anche questo tempo si presenta come l’età di un’altra esperienza di pensiero, di cultura, di esistenza. Anche ora si presenta, per alcuni aspetti, la necessità di disimparare quello che abbiamo imparato e che non serve più, che risulta superato dagli eventi, dalle situazioni e dalle condizioni che sono mutate, dalla trasformazione delle abitudini e dei codici sui quali si sono strutturate le relazioni. Non solo. La necessità di disimparare quello che non è più applicabile è data anche dal fatto che continuare ad applicare l’ormai inapplicabile, potrebbe rivelarsi dannoso. Se non è possibile consegnare all’oblio alcune delle cognizioni e delle condizioni che sono state, si deve comunque prendere atto che esse possono soltanto appartenere alla memoria. Anche se con nostalgia. Anche se con la speranza che possano ritornare. Ma nella storia mai niente ritorna esattamente com’è stato un’altra volta. Quando ritorna, si presenta con una fisionomia diversa, con una diversa conformazione culturale. Quando ritorna, si porta dietro significati nuovi, ed è con quei significati nuovi che diventa indispensabile confrontarsi.