di Ferdinando Boero
Attenti ai dinosauri. La presenza di pescatori è un indice della salute del mare: se i pescatori scompaiono, significa che il mare sta morendo, perché la loro prosperità si basa sulla buona salute del mare.
Ecco come realizzare il compromesso tra prosperità della nostra specie e quella della natura marina. I pescatori prelevano i pesci da popolazioni naturali. Da secoli, invece, i beni alimentari sono prodotti a terra con l’agricoltura e l’allevamento del bestiame. I pescatori, gli ultimi cacciatori-raccoglitori del mondo “civilizzato”, sono in pericolo di estinzione professionale perché… stanno finendo i pesci. Il paradosso di Jevons ne spiega il motivo: il progresso tecnologico che migliora l’estrazione o la produzione di una risorsa porta ad un aumento del consumo di quella risorsa, mettendone a rischio l’integrità. La pesca artigianale prevedeva l’uso delle braccia per muovere i piccoli battelli e operare le reti. Quando questo non fu più sufficiente per “estrarre” la risorsa, subentrò il progresso tecnologico: i battelli furono motorizzati, e aumentarono di dimensioni, le reti furono operate con verricelli, arrivando anche a grandi profondità, i pesci furono refrigerati per migliorarne la conservazione e la distribuzione. Oggi i pescherecci usano i sonar per individuare i banchi di pesce e operano ad ampio raggio: da artigianale, la pesca è diventata industriale. Quando, a terra, abbiamo sterminato i grandi erbivori siamo passati ad allevare mucche e, oggi, anche in mare stiamo passando all’allevamento, per sopperire alle carenze delle popolazioni naturali. Però alleviamo carnivori (salmoni, spigole, orate) che nutriamo con farine di pesce ottenute da pesci di scarso valore commerciale, catturati da popolazioni naturali. Se la pesca industriale non è sostenibile, l’allevamento di carnivori lo è ancora meno.